Repressione e morte in carcere per i proletari, la prospettiva finale dello Stato borghese!

di RdB e MT

 

Una mattanza continua

Il 2024 si preannuncia un annus horribilis per le carceri italiane. Nel solo mese di gennaio si contano quindici suicidi in carcere, il doppio rispetto a gennaio 2022, quando si raggiunse il record di 84 vittime. Tra gli ultimi c’è quello avvenuto nel carcere di Carinola, a Caserta, dove a togliersi la vita è stato un detenuto disabile di 58 anni, e quello nella casa circondariale Montorio di Verona, dove a morire è stato un cittadino straniero, dimesso pochi giorni prima dal reparto psichiatrico. Il quinto suicidio in tre mesi e il secondo dall’inizio dell’anno a Verona, come denuncia l’associazione “Sbarre di zucchero”. Una “morte annunciata”, secondo l’associazione, perché il detenuto, di origini ucraine, aveva già tentato il suicidio all’inizio di gennaio, tagliandosi la gola. Perché ci si uccide in carcere? Quali sono le condizioni detentive oggi nel nostro Paese? Quanta eco hanno i diritti dei detenuti nel dibattito politico italiano?

Nel 2023, i detenuti erano circa 60mila, in esubero di quasi 12mila a una capienza totale di circa 48mila posti. Il tasso di sovraffollamento era di oltre il 125%. Le città dove hanno sede gli istituti penitenziari più affollati sono Brescia (con un tasso di sovraffollamento del 200%), Foggia (190%), Como (186%) e Taranto (180%). Fra i detenuti, le donne sono 2.549 (4,2%), gli stranieri 18.868 (31,4%). Su 76 carceri visitate dall’Osservatorio di Antigone (associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale), nell’ultimo anno, solo in 25 di queste(33%) le celle garantiscono i (già di per sé ridicoli) 3 mq calpestabili a ogni detenuto. I 76 istituti visitati da Antigone sono fatiscenti, anche perché 24 di questi sono stati costruiti prima del 1940 e la maggior parte addirittura prima del 1900. In otto delle carceri visitate delle carceri non tutte le celle sono riscaldate; 46 celle non hanno acqua calda garantita tutto il giorno e in ogni periodo dell’anno; in 41 degli istituti visitati c’erano celle senza doccia. Questa è la situazione fotografata nel 2023. Nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, ciò accade negli istituti dove le condizioni di detenzione sono le peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza di personale medico e supporto psicologico. Nelle carceri italiane troviamo uomini e donne con storie di disperazione sociale, trascurate dalla società e dai suoi governi classisti. I detenuti in Italia sono reclusi in strutture fatiscenti, con problemi di grave sovraffollamento, con mancanza di personale medico e supporto psicologico. Uomini e donne, e in particolar modo proletari e proletarie, che non hanno possibilità per il futuro e su cui si imprime lo stigma della detenzione una volta usciti dal carcere. A tutto questo si aggiunge l’ elevatissimo tasso di «recidiva», (la propensione a commettere reati di chi è stato dietro le sbarre) del 68%. In pratica, in due casi su tre, chi esce dalle prigioni italiane, che sono prive di qualsiasi funzione riabilitativa, e sono anzi scuola di violenza, torna al crimine. Non stupisce, invece, che tra i pochi detenuti che in prigione svolgono un’attività lavorativa (in media uno su tre) la recidiva è molto più bassa: tra l’1 e il 5 per cento. 

Con un governo feroce e una “sinistra” balbettante…

Dall’inizio della legislatura sono stati una decina i progetti di legge presentati in aula e solo uno riguarda il sovraffollamento delle carceri. La destra di governo, che sulla questione mostra il suo volto più feroce, contesta alla magistratura i circa mille innocenti arrestati ogni anno, ma è contraria a depenalizzazioni e misure alternative al carcere. Valga su tutti il caso Cospito o l’entusiasmo governativo per misure disumane come la carcerazione in regime di 41bis e l’ergastolo ostativo. Quanto alla sedicente sinistra costituzionale, è in totale confusione, con posizioni che variano da quella dei 5 Stelle, per cui il problema del sovraffollamento carcerario si risolve costruendo nuove carceri, a quella del PD, la cui preoccupazione principale sembra essere la garanzia di mantenimento delle principali misure coercitive dello Stato italiano, comprese quelle riguardanti il “carcere duro”. Non diverse le posizioni della Meloni, che ha commentato gli ultimi suicidi affermando: “Il problema si risolve aumentando i posti nelle strutture, non consentendo a chi commette un reato di non espiare la pena”.

L’ennesimo pacchetto sicurezza, immancabile quando al governo c’è la destra, (anche nella sua versione gialloverde), è un concentrato delle peggiori misure reazionarie mosse innanzitutto contro le fasce marginali della società e soprattutto quando provano ad alzare la testa. Per chi tale marginalità la vive sulla pelle sotto forma di emergenza abitativa e, disperato, rimedia con l’estrema soluzione di occupare un immobile (quasi sempre in disuso, spesso in stato d’abbandono) viene ora punito con il carcere fino a 7 anni. Emergenza abitativa tra l’altro che invece è proprio responsabilità dei politicanti borghesi, incapaci di metter su un qualsiasi straccio di “politica per la casa” con piani di edilizia popolare ad affitto simbolico da più di 40 anni. Poi ci sono le cosiddette “misure anti-borseggio”, altra emergenza costruita ad arte dai media di regime, per le quali si può addirittura imporre il divieto di accesso alle stazioni ferroviarie e metropolitane o ai porti a chi è già stato denunciato o condannato per furto, rapina o altri reati contro il patrimonio o la persona commessi in quei luoghi. Non crediamo siano necessarie eccessive spiegazioni per comprendere la natura di classe di una tale misura repressiva, rivolta esclusivamente a proletari e soprattutto proletarie trattate come le peggiori criminali solo perché tentano di sopravvivere in una società predatoria e affamatrice. Insomma, si colpiscono solo i reati dei poveri cristi, mentre quelli dei padroni e degli affamatori che si ingrassano con lo sfruttamento sono più che al sicuro. Una volta in carcere poi, se si organizza o si partecipa a una rivolta, proprio contro quelle condizioni disumane di cui sopra, si rischia una pena supplementare da 2 a 8 anni (per chi organizza la rivolta) o da 1 a 5 anni (per chi partecipa). Misure improntate alla pura repressione sono invece quelle contro i “blocchi stradali”, metodo di lotta, tra l’altro non-violento, molto utilizzato dalla classe lavoratrice in ogni parte del mondo. Ebbene, tale forma di protesta, che comunque non riusciranno mai a spegnere, passa da illecito a reato punibile con pena fino a 2 anni di reclusione. Reclusione e repressione, le ricette della destra al governo che la sedicente opposizione volutamente non ha la capacità politica di contrastare.

… l’unica risposta è quella di classe

Se però i politicanti borghesi credono con ciò di riuscire a fermare un esercito di affamati, sfruttati, disoccupati, senza casa, destinato sempre più a crescere proprio per le politiche che essi portano avanti, tra cancellazione di un reddito di cittadinanza già di per sé misero, pensioni da fame, nessuna regolamentazione per un salario minimo, nessuna politica di edilizia popolare, si sbagliano alla grande. E ne sono consapevoli: per questo, impauriti, ricorrono all’inasprimento di ogni misura repressiva contro qualsiasi forma di risposta sociale che comunque arriverà e li coglierà in pieno.

Il sistema capitalistico propone pene detentive e sistemi rieducativi totalmente in linea con le sue contraddizioni intrinseche: crea le condizioni sociali perché la miseria porti grandi fasce di sottoproletariato a delinquere; costringe i detenuti e le detenute a vivere la pena commissionata nelle condizioni drammatiche in cui versano strutturalmente le carceri; e una volta espiata la pena il reinserimento sociale resta completamente sulle spalle dei singoli soggetti perché gli istituti detentivi, tranne rarissime eccezioni, non forniscono alcun percorso reale in tal senso. I detenuti e le detenute sono spesso bersaglio dei politicanti borghesi e dei loro mezzi di informazione che creano nell’opinione pubblica un’idea semplicistica di singoli individui che sbagliano, da colpevolizzare in maniera assoluta. Come se non esistesse in tale sistema economico la disoccupazione strutturale. Come se tutti i lavori fornissero salari che permettano di vivere dignitosamente e di crescere dei figli. A tale lettura, strumentale alla sopravvivenza di questo sistema di oppressione, è nostro dovere reagire, è nostro dovere opporci!

Le lotte contro il carcere, come critica delle politiche securitarie, e la lotta sociale e politica allo sfruttamento padronale, come critica radicale alle gerarchie di classe, procedono insieme!

  • No ai regimi di tortura dello Stato italiano, il 41bis e l’ergastolo ostativo
  • No al “fine pena mai”, no all’ergastolo, pena di morte camuffata
  • No ai cosiddetti “pacchetti sicurezza” e a tutte le misure securitarie che mirano a colpire il dissenso sociale e politico
  • Contro la repressione dello Stato borghese, l’esecutore, e contro la repressione dei padroni, i mandanti di qualsiasi misura di contenimento della lotta di classe

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Repressione e morte in carcere per i proletari, la prospettiva finale dello Stato borghese!

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di RdB e MT

 

Una mattanza continua

Il 2024 si preannuncia un annus horribilis per le carceri italiane. Nel solo mese di gennaio si contano quindici suicidi in carcere, il doppio rispetto a gennaio 2022, quando si raggiunse il record di 84 vittime. Tra gli ultimi c’è quello avvenuto nel carcere di Carinola, a Caserta, dove a togliersi la vita è stato un detenuto disabile di 58 anni, e quello nella casa circondariale Montorio di Verona, dove a morire è stato un cittadino straniero, dimesso pochi giorni prima dal reparto psichiatrico. Il quinto suicidio in tre mesi e il secondo dall’inizio dell’anno a Verona, come denuncia l’associazione “Sbarre di zucchero”. Una “morte annunciata”, secondo l’associazione, perché il detenuto, di origini ucraine, aveva già tentato il suicidio all’inizio di gennaio, tagliandosi la gola. Perché ci si uccide in carcere? Quali sono le condizioni detentive oggi nel nostro Paese? Quanta eco hanno i diritti dei detenuti nel dibattito politico italiano?

Nel 2023, i detenuti erano circa 60mila, in esubero di quasi 12mila a una capienza totale di circa 48mila posti. Il tasso di sovraffollamento era di oltre il 125%. Le città dove hanno sede gli istituti penitenziari più affollati sono Brescia (con un tasso di sovraffollamento del 200%), Foggia (190%), Como (186%) e Taranto (180%). Fra i detenuti, le donne sono 2.549 (4,2%), gli stranieri 18.868 (31,4%). Su 76 carceri visitate dall’Osservatorio di Antigone (associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale), nell’ultimo anno, solo in 25 di queste(33%) le celle garantiscono i (già di per sé ridicoli) 3 mq calpestabili a ogni detenuto. I 76 istituti visitati da Antigone sono fatiscenti, anche perché 24 di questi sono stati costruiti prima del 1940 e la maggior parte addirittura prima del 1900. In otto delle carceri visitate delle carceri non tutte le celle sono riscaldate; 46 celle non hanno acqua calda garantita tutto il giorno e in ogni periodo dell’anno; in 41 degli istituti visitati c’erano celle senza doccia. Questa è la situazione fotografata nel 2023. Nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, ciò accade negli istituti dove le condizioni di detenzione sono le peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza di personale medico e supporto psicologico. Nelle carceri italiane troviamo uomini e donne con storie di disperazione sociale, trascurate dalla società e dai suoi governi classisti. I detenuti in Italia sono reclusi in strutture fatiscenti, con problemi di grave sovraffollamento, con mancanza di personale medico e supporto psicologico. Uomini e donne, e in particolar modo proletari e proletarie, che non hanno possibilità per il futuro e su cui si imprime lo stigma della detenzione una volta usciti dal carcere. A tutto questo si aggiunge l’ elevatissimo tasso di «recidiva», (la propensione a commettere reati di chi è stato dietro le sbarre) del 68%. In pratica, in due casi su tre, chi esce dalle prigioni italiane, che sono prive di qualsiasi funzione riabilitativa, e sono anzi scuola di violenza, torna al crimine. Non stupisce, invece, che tra i pochi detenuti che in prigione svolgono un’attività lavorativa (in media uno su tre) la recidiva è molto più bassa: tra l’1 e il 5 per cento. 

Con un governo feroce e una “sinistra” balbettante…

Dall’inizio della legislatura sono stati una decina i progetti di legge presentati in aula e solo uno riguarda il sovraffollamento delle carceri. La destra di governo, che sulla questione mostra il suo volto più feroce, contesta alla magistratura i circa mille innocenti arrestati ogni anno, ma è contraria a depenalizzazioni e misure alternative al carcere. Valga su tutti il caso Cospito o l’entusiasmo governativo per misure disumane come la carcerazione in regime di 41bis e l’ergastolo ostativo. Quanto alla sedicente sinistra costituzionale, è in totale confusione, con posizioni che variano da quella dei 5 Stelle, per cui il problema del sovraffollamento carcerario si risolve costruendo nuove carceri, a quella del PD, la cui preoccupazione principale sembra essere la garanzia di mantenimento delle principali misure coercitive dello Stato italiano, comprese quelle riguardanti il “carcere duro”. Non diverse le posizioni della Meloni, che ha commentato gli ultimi suicidi affermando: “Il problema si risolve aumentando i posti nelle strutture, non consentendo a chi commette un reato di non espiare la pena”.

L’ennesimo pacchetto sicurezza, immancabile quando al governo c’è la destra, (anche nella sua versione gialloverde), è un concentrato delle peggiori misure reazionarie mosse innanzitutto contro le fasce marginali della società e soprattutto quando provano ad alzare la testa. Per chi tale marginalità la vive sulla pelle sotto forma di emergenza abitativa e, disperato, rimedia con l’estrema soluzione di occupare un immobile (quasi sempre in disuso, spesso in stato d’abbandono) viene ora punito con il carcere fino a 7 anni. Emergenza abitativa tra l’altro che invece è proprio responsabilità dei politicanti borghesi, incapaci di metter su un qualsiasi straccio di “politica per la casa” con piani di edilizia popolare ad affitto simbolico da più di 40 anni. Poi ci sono le cosiddette “misure anti-borseggio”, altra emergenza costruita ad arte dai media di regime, per le quali si può addirittura imporre il divieto di accesso alle stazioni ferroviarie e metropolitane o ai porti a chi è già stato denunciato o condannato per furto, rapina o altri reati contro il patrimonio o la persona commessi in quei luoghi. Non crediamo siano necessarie eccessive spiegazioni per comprendere la natura di classe di una tale misura repressiva, rivolta esclusivamente a proletari e soprattutto proletarie trattate come le peggiori criminali solo perché tentano di sopravvivere in una società predatoria e affamatrice. Insomma, si colpiscono solo i reati dei poveri cristi, mentre quelli dei padroni e degli affamatori che si ingrassano con lo sfruttamento sono più che al sicuro. Una volta in carcere poi, se si organizza o si partecipa a una rivolta, proprio contro quelle condizioni disumane di cui sopra, si rischia una pena supplementare da 2 a 8 anni (per chi organizza la rivolta) o da 1 a 5 anni (per chi partecipa). Misure improntate alla pura repressione sono invece quelle contro i “blocchi stradali”, metodo di lotta, tra l’altro non-violento, molto utilizzato dalla classe lavoratrice in ogni parte del mondo. Ebbene, tale forma di protesta, che comunque non riusciranno mai a spegnere, passa da illecito a reato punibile con pena fino a 2 anni di reclusione. Reclusione e repressione, le ricette della destra al governo che la sedicente opposizione volutamente non ha la capacità politica di contrastare.

… l’unica risposta è quella di classe

Se però i politicanti borghesi credono con ciò di riuscire a fermare un esercito di affamati, sfruttati, disoccupati, senza casa, destinato sempre più a crescere proprio per le politiche che essi portano avanti, tra cancellazione di un reddito di cittadinanza già di per sé misero, pensioni da fame, nessuna regolamentazione per un salario minimo, nessuna politica di edilizia popolare, si sbagliano alla grande. E ne sono consapevoli: per questo, impauriti, ricorrono all’inasprimento di ogni misura repressiva contro qualsiasi forma di risposta sociale che comunque arriverà e li coglierà in pieno.

Il sistema capitalistico propone pene detentive e sistemi rieducativi totalmente in linea con le sue contraddizioni intrinseche: crea le condizioni sociali perché la miseria porti grandi fasce di sottoproletariato a delinquere; costringe i detenuti e le detenute a vivere la pena commissionata nelle condizioni drammatiche in cui versano strutturalmente le carceri; e una volta espiata la pena il reinserimento sociale resta completamente sulle spalle dei singoli soggetti perché gli istituti detentivi, tranne rarissime eccezioni, non forniscono alcun percorso reale in tal senso. I detenuti e le detenute sono spesso bersaglio dei politicanti borghesi e dei loro mezzi di informazione che creano nell’opinione pubblica un’idea semplicistica di singoli individui che sbagliano, da colpevolizzare in maniera assoluta. Come se non esistesse in tale sistema economico la disoccupazione strutturale. Come se tutti i lavori fornissero salari che permettano di vivere dignitosamente e di crescere dei figli. A tale lettura, strumentale alla sopravvivenza di questo sistema di oppressione, è nostro dovere reagire, è nostro dovere opporci!

Le lotte contro il carcere, come critica delle politiche securitarie, e la lotta sociale e politica allo sfruttamento padronale, come critica radicale alle gerarchie di classe, procedono insieme!

  • No ai regimi di tortura dello Stato italiano, il 41bis e l’ergastolo ostativo
  • No al “fine pena mai”, no all’ergastolo, pena di morte camuffata
  • No ai cosiddetti “pacchetti sicurezza” e a tutte le misure securitarie che mirano a colpire il dissenso sociale e politico
  • Contro la repressione dello Stato borghese, l’esecutore, e contro la repressione dei padroni, i mandanti di qualsiasi misura di contenimento della lotta di classe

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