L’imperialismo trascina il mondo in una guerra globale permanente! Rispondiamo con lo sciopero generale, ed è solo l’inizio!
Ucraina, Palestina…
È uno scenario di guerra e catastrofe quello che ci prospetta il capitalismo nella sua fase suprema, l’imperialismo. Mentre prosegue il massacro umano in Ucraina, con oltre mezzo milione di morti causati dalle contrapposte mire imperialiste degli Usa da un lato (con la sua punta di lancia rappresentata dalla Nato), che tentano di contrastare la progressiva perdita di dominio e consenso sul globo intero, e della Russia dall’altro, che cerca di uscire dal limitato ruolo di potenza regionale per partecipare insieme alla Cina ad una nuova ripartizione del mondo, prosegue a ritmi altrettanto serrati il massacro sociale, accresciuto dall’economia di guerra, nei Paesi occidentali, veri e propri co-belligeranti. I livelli di spesa pubblica destinati all’investimento militare crescono e cresceranno ancora in tale contesto di mobilitazione a tappe verso il disastro di un conflitto globale.
A questa già di per sé drammatica situazione si è aggiunto proprio in questi giorni un ulteriore elemento di aggravamento, dato dall’esplosione di una nuova e acutissima fase del conflitto israelo-palestinese: un conflitto che sta culminando in una delle pagine più drammatiche della storia di quella martoriata regione, segnata da 75 anni di crudele occupazione sionista della Palestina.
In questo lungo periodo si sono continuamente ed ininterrottamente susseguiti crimini contro la popolazione palestinese, uccisioni quotidiane, periodici bombardamenti, distruzioni di villaggi e insediamenti, abusive espropriazioni di terra e case in Cisgiordania illegittimamente compiute da parte di coloni protetti dalle truppe israeliane, così come l’espulsione e l’esilio forzato di milioni di arabi, la negazione del diritto ad avere cure, scuole e servizi che abbiano un minimo di dignità umana, le torture nelle prigioni israeliane, i rastrellamenti quotidiani di interi villaggi, i check-point, i muri e il filo spinato: un quadro terribile che ha fatto della Palestina intera la più grande prigione a cielo aperto e nel quale ha la sua rilevante parte di responsabilità la politica di continua collaborazione con gli occupanti sionisti del corrotto governo dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Tutto ciò ha prodotto il sorgere di Hamas, un movimento armato di resistenza che si ispira ad un islamismo reazionario e oscurantista il cui obiettivo è l’instaurazione di un regime teocratico nella futura Palestina liberata.
Hamas non è sorto dal nulla, ma – come altre volte è successo nella storia, anche recente – è stato tollerato [1] e persino incoraggiato[2] dallo stesso Israele in funzione di contrappeso ai nazionalisti laici dell’OLP e alla sua fazione dominante, Fatah di Yasser Arafat. Oggi Hamas gode di appoggi e sostegno militare in particolare dall’Iran e dall’organizzazione armata libanese Hezbollah e di sostegno politico all’interno della Striscia di Gaza, che amministra.
L’attacco militare a sorpresa su larga scala di Hamas ad Israele è il sottoprodotto di questa complessa situazione, in cui il movimento islamista ha intercettato la rabbia di settori di popolazione palestinese.
In questo senso, è vero che Hamas ha impresso alla giusta e doverosa lotta di liberazione del popolo palestinese un segno di particolare efferatezza, non tanto verso gli obiettivi militari (legittimi in una guerra di occupazione), quanto verso civili, ma non possiamo unirci al raccapricciante coro delle borghesie mondiali nel definire “terrorista” Hamas. Si tratta di un’etichetta che fa comodo solo agli imperialismi occidentali per dare allo Stato sionista la licenza di portare a termine quello che non si prospetta più solo come un massacro più grave di quelli già commessi, bensì addirittura come un genocidio su base etnico-razziale.
Intanto, a testimonianza della mano imperialista dietro ogni passo, gli Stati Uniti, oltre alla fornitura di armamenti e aiuti militari, hanno inviato, nel giorno stesso dell’azione di Hamas in Israele, la portaerei USS Gerald R. Ford (con oltre 70 aerei a bordo e scortata da altre navi da guerra) verso le coste di Israele, a scopo “preventivo” rispetto al possibile allargamento del conflitto al resto dei Paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico. E se la macchina bellica viene velocemente messa in moto, quella della propaganda viaggia ancor più velocemente. E così è l’occupante e torturatore Israele a diventare “vittima di un assedio che dura fin dalla sua nascita”, scompaiono dai radar dell’informazione il regime di apartheid imposto ai palestinesi, la questione delle colonie illegali in Cisgiordania, le detenzioni altrettanto illegali (come quella che di recente ha visto protagonista l’italo-palestinese Khaled Al Qaisi), il distacco totale delle forniture di gas, acqua ed elettricità a Gaza, nonché la completa interruzione delle forniture mediche ospedaliere, che vengono trattate di sfuggita come una notizia tra le altre e non come un crimine contro l’umanità. E ovviamente, in Palestina, come in Ucraina, staremmo assistendo ad uno scontro di civiltà, perché dopo la sana democrazia di Zelensky viene attaccata anche l’unica democrazia del Medioriente. Sicché, la narrazione dominante è quella per cui è il “modello democratico” ad essere sotto attacco. Quello stesso modello democratico che, con lo schieramento occidentale Usa-Israele-Ue-Nato, semina morte e distruzione ovunque nel mondo (e proprio i conflitti in Ucraina e in Palestina, forgiati a tavolino dall’imperialismo, ne sono la prova più lampante). Occorre costruire un grande movimento contro la guerra imperialista, che ovviamente si tenga alla larga dalle tentazioni campiste di una certa sinistra post-stalinista, ma denunci apertamente le responsabilità occidentali, in Italia a partire dal guerrafondaio governo Meloni.
Né carne da macello in guerra né carne da macello in fabbrica
È la classe lavoratrice a pagare, con la vita o con la miseria, il prezzo della guerra e della crisi del capitale. Per questo è impossibile separare il tema dell’opposizione alla guerra dal tema dell’opposizione di classe al governo Meloni e a tutti i governi della borghesia. Nessun movimento contro la guerra può avere alcun significato, e per quanto ci riguarda alcuna utilità, senza lottare parallelamente per il lavoro, il salario, la casa, la tutela ambientale, la sanità pubblica, l’istruzione gratuita per l’intero ciclo di formazione, la fine di ogni discriminazione e violenza di tipo sessuale, la fine della mattanza delle morti sul lavoro, i servizi sociali per i proletari.
Non dobbiamo mai dimenticare che, parallelamente alla guerra sul campo, i governi borghesi combattono una guerra contro il proletariato, che vede salari già impoveriti dall’inflazione, rincari di tutti i beni di prima necessità, degli affitti e dei mutui, mancanza di welfare per i disoccupati (ormai anche l’elemosina del “reddito di cittadinanza” è un lontano ricordo), blocco dei salari, repressione del conflitto sociale e condizioni di lavoro precarie. Non resta che la lotta.
Per questo abbiamo convintamente aderito alla mobilitazione delle principali realtà del sindacalismo di base e conflittuale e delle realtà politiche di classe per le giornate del 20, con lo sciopero generale, e del 21, con la manifestazione presso la base NATO di Ghedi. Non condanniamo la partecipazione di tanti compagni ai paralleli cortei che si terranno nella giornata del 21 e tantomeno la partecipazione alla manifestazione CGIL dello scorso 7 ottobre. Nonostante gli evidenti limiti delle piattaforme “pacifiste” o comunque non legate ad un discorso di superamento del sistema da un lato, e il drammatico ruolo di cooptazione statale e collaborazione di classe della CGIL di Landini dall’altro, i rivoluzionari non disdegnano nessuna occasione di propaganda di classe in nessuna occasione utile. Soprattutto quando, ed è il caso della CGIL, si tratta di un corpo sindacale che raccoglie comunque qualche milione di lavoratori reali. Ovviamente non ha alcun senso fornire alla burocrazia landiniana una partecipazione “codista” e una opposizione “da corrente” (buona più che altro per qualche posto nei direttivi), ma l’intervento tra quei lavoratori serve proprio a denunciare la cooptazione del sindacato e la concertazione con istituzioni e padronato come metodo generale, non dunque quando serve a strappare risultati parziali ma tangibili, ma come prassi a cui aggrapparsi sempre e comunque.
Sciopero!
Lo sciopero è il primo strumento necessario per cominciare a costruire una lotta contro la guerra e contro la precarietà crescente. Sebbene la pandemia prima e la guerra ora abbiano aumentato il numero di iniziative di sciopero organizzate dai sindacati, non vi è stato nessun significativo cambio di passo verso la costruzione di uno sciopero unitario tra CGIL e sindacalismo di base (e nemmeno tra le sigle dello stesso sindacalismo di base).
Per lo sciopero del 20 ottobre, noi invitiamo invece tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche se appartenenti a realtà sindacali diverse da quelle che l’hanno indetto, alla massima adesione. così come invitiamo alla massima partecipazione in occasione della mobilitazione del giorno successivo.
Per quanto ci riguarda, in tali occasioni occorre rivendicare con forza e lottare per:
- Salario minimo per tutte le categorie di almeno 1600 euro netti; scala mobile dei salari ossia l’agganciamento automatico dei salari al carovita che la crisi e la guerra produrranno sempre più.
- Scala mobile delle ore di lavoro, ossia la redistribuzione di tutto il lavoro che c’è tra i lavoratori, occupati e disoccupati; riduzione della giornata e della settimana lavorativa a parità di salario a non più di 6 ore al giorno e 30 ore la settimana.
- Salario sociale ai disoccupati di 1100 euro netti pro-capite (e non per nucleo familiare), agganciato, come per il salario minimo, al tasso d’inflazione e quindi adeguato al carovita tramite lo stesso sistema di scala mobile dei salari.
- Blocco degli straordinari per tutte le categorie, un meccanismo padronale che crea competizione tra i lavoratori e, come per l’innalzamento dell’età pensionabile, frena l’assunzione di nuova forza-lavoro.
- Abolizione del Jobs Act e di tutte le leggi del precariato, trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo pieno e indeterminato.
- Abolizione della legge Fornero e ritorno al sistema retributivo, ossia finanziato dalla fiscalità generale, con pensioni pari all’80% dell’ultimo salario e non inferiori a 1400 euro al mese; sistema pensionistico con massimo 30 anni di lavoro o 57 anni di età, 55 per i lavori più usuranti.
- Bisogna sconfiggere i tentativi della borghesia di dividere i lavoratori dalle lavoratrici: parità salariale; esternalizzazione del lavoro di cura in tutte le sue forme; riconoscimento, tramite permessi, congedi e giorni-malattia dedicati, delle specifiche necessità delle donne, dei transgender e transessuali.
- Alloggi gratuiti per gli studenti e a prezzi popolari per i lavoratori, requisizione delle case sfitte ed esproprio del patrimonio immobiliare nelle mani del Vaticano e dei grandi gruppi. CASA PER TUTTI!
- NO all’economia di guerra: nessun sacrificio economico e sociale per finanziare l’aumento del budget militare concordato con l’imperialismo NATO, al contrario netti tagli al bilancio militare.
- Immediato STOP a tutte le operazioni di guerra dello Stato occupante di Israele in Palestina.
- Contro la guerra imperialista e le sue conseguenze sulla classe proletaria: STOP all’invio di armi in Ucraina, blocco della produzione bellica e sua riconversione a scopi civili; STOP delle sanzioni alla Russia i cui effetti economici si ripercuotono principalmente sulle classi popolari; Fuori la NATO, la Russia e il governo Zelensky dall’Ucraina; mobilitazione in ogni Paese e soprattutto delle masse arabe in Medioriente e Nord-Africa contro Israele e l’imperialismo; NO a compromessi bidone per il martoriato ma orgoglioso popolo palestinese; STOP all’occupazione coloniale e ritorno di tutti i profughi e gli espulsi dalla loro terra dal 1948 ad oggi, per la sconfitta del sionismo e dell’imperialismo; creazione sulle terre storiche della Palestina di un unico Stato plurietnico governato dai lavoratori e con diritti di minoranza per gli ebrei, nel quadro di una Federazione delle Repubbliche arabe socialiste.
La Redazione
Note:
[1] How Israel Helped to Spawn Hamas
[2] PALESTINE Hamas, le produit du Mossad
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L’imperialismo trascina il mondo in una guerra globale permanente! Rispondiamo con lo sciopero generale, ed è solo l’inizio!
Ucraina, Palestina…
È uno scenario di guerra e catastrofe quello che ci prospetta il capitalismo nella sua fase suprema, l’imperialismo. Mentre prosegue il massacro umano in Ucraina, con oltre mezzo milione di morti causati dalle contrapposte mire imperialiste degli Usa da un lato (con la sua punta di lancia rappresentata dalla Nato), che tentano di contrastare la progressiva perdita di dominio e consenso sul globo intero, e della Russia dall’altro, che cerca di uscire dal limitato ruolo di potenza regionale per partecipare insieme alla Cina ad una nuova ripartizione del mondo, prosegue a ritmi altrettanto serrati il massacro sociale, accresciuto dall’economia di guerra, nei Paesi occidentali, veri e propri co-belligeranti. I livelli di spesa pubblica destinati all’investimento militare crescono e cresceranno ancora in tale contesto di mobilitazione a tappe verso il disastro di un conflitto globale.
A questa già di per sé drammatica situazione si è aggiunto proprio in questi giorni un ulteriore elemento di aggravamento, dato dall’esplosione di una nuova e acutissima fase del conflitto israelo-palestinese: un conflitto che sta culminando in una delle pagine più drammatiche della storia di quella martoriata regione, segnata da 75 anni di crudele occupazione sionista della Palestina.
In questo lungo periodo si sono continuamente ed ininterrottamente susseguiti crimini contro la popolazione palestinese, uccisioni quotidiane, periodici bombardamenti, distruzioni di villaggi e insediamenti, abusive espropriazioni di terra e case in Cisgiordania illegittimamente compiute da parte di coloni protetti dalle truppe israeliane, così come l’espulsione e l’esilio forzato di milioni di arabi, la negazione del diritto ad avere cure, scuole e servizi che abbiano un minimo di dignità umana, le torture nelle prigioni israeliane, i rastrellamenti quotidiani di interi villaggi, i check-point, i muri e il filo spinato: un quadro terribile che ha fatto della Palestina intera la più grande prigione a cielo aperto e nel quale ha la sua rilevante parte di responsabilità la politica di continua collaborazione con gli occupanti sionisti del corrotto governo dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Tutto ciò ha prodotto il sorgere di Hamas, un movimento armato di resistenza che si ispira ad un islamismo reazionario e oscurantista il cui obiettivo è l’instaurazione di un regime teocratico nella futura Palestina liberata.
Hamas non è sorto dal nulla, ma – come altre volte è successo nella storia, anche recente – è stato tollerato [1] e persino incoraggiato[2] dallo stesso Israele in funzione di contrappeso ai nazionalisti laici dell’OLP e alla sua fazione dominante, Fatah di Yasser Arafat. Oggi Hamas gode di appoggi e sostegno militare in particolare dall’Iran e dall’organizzazione armata libanese Hezbollah e di sostegno politico all’interno della Striscia di Gaza, che amministra.
L’attacco militare a sorpresa su larga scala di Hamas ad Israele è il sottoprodotto di questa complessa situazione, in cui il movimento islamista ha intercettato la rabbia di settori di popolazione palestinese.
In questo senso, è vero che Hamas ha impresso alla giusta e doverosa lotta di liberazione del popolo palestinese un segno di particolare efferatezza, non tanto verso gli obiettivi militari (legittimi in una guerra di occupazione), quanto verso civili, ma non possiamo unirci al raccapricciante coro delle borghesie mondiali nel definire “terrorista” Hamas. Si tratta di un’etichetta che fa comodo solo agli imperialismi occidentali per dare allo Stato sionista la licenza di portare a termine quello che non si prospetta più solo come un massacro più grave di quelli già commessi, bensì addirittura come un genocidio su base etnico-razziale.
Intanto, a testimonianza della mano imperialista dietro ogni passo, gli Stati Uniti, oltre alla fornitura di armamenti e aiuti militari, hanno inviato, nel giorno stesso dell’azione di Hamas in Israele, la portaerei USS Gerald R. Ford (con oltre 70 aerei a bordo e scortata da altre navi da guerra) verso le coste di Israele, a scopo “preventivo” rispetto al possibile allargamento del conflitto al resto dei Paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico. E se la macchina bellica viene velocemente messa in moto, quella della propaganda viaggia ancor più velocemente. E così è l’occupante e torturatore Israele a diventare “vittima di un assedio che dura fin dalla sua nascita”, scompaiono dai radar dell’informazione il regime di apartheid imposto ai palestinesi, la questione delle colonie illegali in Cisgiordania, le detenzioni altrettanto illegali (come quella che di recente ha visto protagonista l’italo-palestinese Khaled Al Qaisi), il distacco totale delle forniture di gas, acqua ed elettricità a Gaza, nonché la completa interruzione delle forniture mediche ospedaliere, che vengono trattate di sfuggita come una notizia tra le altre e non come un crimine contro l’umanità. E ovviamente, in Palestina, come in Ucraina, staremmo assistendo ad uno scontro di civiltà, perché dopo la sana democrazia di Zelensky viene attaccata anche l’unica democrazia del Medioriente. Sicché, la narrazione dominante è quella per cui è il “modello democratico” ad essere sotto attacco. Quello stesso modello democratico che, con lo schieramento occidentale Usa-Israele-Ue-Nato, semina morte e distruzione ovunque nel mondo (e proprio i conflitti in Ucraina e in Palestina, forgiati a tavolino dall’imperialismo, ne sono la prova più lampante). Occorre costruire un grande movimento contro la guerra imperialista, che ovviamente si tenga alla larga dalle tentazioni campiste di una certa sinistra post-stalinista, ma denunci apertamente le responsabilità occidentali, in Italia a partire dal guerrafondaio governo Meloni.
Né carne da macello in guerra né carne da macello in fabbrica
È la classe lavoratrice a pagare, con la vita o con la miseria, il prezzo della guerra e della crisi del capitale. Per questo è impossibile separare il tema dell’opposizione alla guerra dal tema dell’opposizione di classe al governo Meloni e a tutti i governi della borghesia. Nessun movimento contro la guerra può avere alcun significato, e per quanto ci riguarda alcuna utilità, senza lottare parallelamente per il lavoro, il salario, la casa, la tutela ambientale, la sanità pubblica, l’istruzione gratuita per l’intero ciclo di formazione, la fine di ogni discriminazione e violenza di tipo sessuale, la fine della mattanza delle morti sul lavoro, i servizi sociali per i proletari.
Non dobbiamo mai dimenticare che, parallelamente alla guerra sul campo, i governi borghesi combattono una guerra contro il proletariato, che vede salari già impoveriti dall’inflazione, rincari di tutti i beni di prima necessità, degli affitti e dei mutui, mancanza di welfare per i disoccupati (ormai anche l’elemosina del “reddito di cittadinanza” è un lontano ricordo), blocco dei salari, repressione del conflitto sociale e condizioni di lavoro precarie. Non resta che la lotta.
Per questo abbiamo convintamente aderito alla mobilitazione delle principali realtà del sindacalismo di base e conflittuale e delle realtà politiche di classe per le giornate del 20, con lo sciopero generale, e del 21, con la manifestazione presso la base NATO di Ghedi. Non condanniamo la partecipazione di tanti compagni ai paralleli cortei che si terranno nella giornata del 21 e tantomeno la partecipazione alla manifestazione CGIL dello scorso 7 ottobre. Nonostante gli evidenti limiti delle piattaforme “pacifiste” o comunque non legate ad un discorso di superamento del sistema da un lato, e il drammatico ruolo di cooptazione statale e collaborazione di classe della CGIL di Landini dall’altro, i rivoluzionari non disdegnano nessuna occasione di propaganda di classe in nessuna occasione utile. Soprattutto quando, ed è il caso della CGIL, si tratta di un corpo sindacale che raccoglie comunque qualche milione di lavoratori reali. Ovviamente non ha alcun senso fornire alla burocrazia landiniana una partecipazione “codista” e una opposizione “da corrente” (buona più che altro per qualche posto nei direttivi), ma l’intervento tra quei lavoratori serve proprio a denunciare la cooptazione del sindacato e la concertazione con istituzioni e padronato come metodo generale, non dunque quando serve a strappare risultati parziali ma tangibili, ma come prassi a cui aggrapparsi sempre e comunque.
Sciopero!
Lo sciopero è il primo strumento necessario per cominciare a costruire una lotta contro la guerra e contro la precarietà crescente. Sebbene la pandemia prima e la guerra ora abbiano aumentato il numero di iniziative di sciopero organizzate dai sindacati, non vi è stato nessun significativo cambio di passo verso la costruzione di uno sciopero unitario tra CGIL e sindacalismo di base (e nemmeno tra le sigle dello stesso sindacalismo di base).
Per lo sciopero del 20 ottobre, noi invitiamo invece tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche se appartenenti a realtà sindacali diverse da quelle che l’hanno indetto, alla massima adesione. così come invitiamo alla massima partecipazione in occasione della mobilitazione del giorno successivo.
Per quanto ci riguarda, in tali occasioni occorre rivendicare con forza e lottare per:
- Salario minimo per tutte le categorie di almeno 1600 euro netti; scala mobile dei salari ossia l’agganciamento automatico dei salari al carovita che la crisi e la guerra produrranno sempre più.
- Scala mobile delle ore di lavoro, ossia la redistribuzione di tutto il lavoro che c’è tra i lavoratori, occupati e disoccupati; riduzione della giornata e della settimana lavorativa a parità di salario a non più di 6 ore al giorno e 30 ore la settimana.
- Salario sociale ai disoccupati di 1100 euro netti pro-capite (e non per nucleo familiare), agganciato, come per il salario minimo, al tasso d’inflazione e quindi adeguato al carovita tramite lo stesso sistema di scala mobile dei salari.
- Blocco degli straordinari per tutte le categorie, un meccanismo padronale che crea competizione tra i lavoratori e, come per l’innalzamento dell’età pensionabile, frena l’assunzione di nuova forza-lavoro.
- Abolizione del Jobs Act e di tutte le leggi del precariato, trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo pieno e indeterminato.
- Abolizione della legge Fornero e ritorno al sistema retributivo, ossia finanziato dalla fiscalità generale, con pensioni pari all’80% dell’ultimo salario e non inferiori a 1400 euro al mese; sistema pensionistico con massimo 30 anni di lavoro o 57 anni di età, 55 per i lavori più usuranti.
- Bisogna sconfiggere i tentativi della borghesia di dividere i lavoratori dalle lavoratrici: parità salariale; esternalizzazione del lavoro di cura in tutte le sue forme; riconoscimento, tramite permessi, congedi e giorni-malattia dedicati, delle specifiche necessità delle donne, dei transgender e transessuali.
- Alloggi gratuiti per gli studenti e a prezzi popolari per i lavoratori, requisizione delle case sfitte ed esproprio del patrimonio immobiliare nelle mani del Vaticano e dei grandi gruppi. CASA PER TUTTI!
- NO all’economia di guerra: nessun sacrificio economico e sociale per finanziare l’aumento del budget militare concordato con l’imperialismo NATO, al contrario netti tagli al bilancio militare.
- Immediato STOP a tutte le operazioni di guerra dello Stato occupante di Israele in Palestina.
- Contro la guerra imperialista e le sue conseguenze sulla classe proletaria: STOP all’invio di armi in Ucraina, blocco della produzione bellica e sua riconversione a scopi civili; STOP delle sanzioni alla Russia i cui effetti economici si ripercuotono principalmente sulle classi popolari; Fuori la NATO, la Russia e il governo Zelensky dall’Ucraina; mobilitazione in ogni Paese e soprattutto delle masse arabe in Medioriente e Nord-Africa contro Israele e l’imperialismo; NO a compromessi bidone per il martoriato ma orgoglioso popolo palestinese; STOP all’occupazione coloniale e ritorno di tutti i profughi e gli espulsi dalla loro terra dal 1948 ad oggi, per la sconfitta del sionismo e dell’imperialismo; creazione sulle terre storiche della Palestina di un unico Stato plurietnico governato dai lavoratori e con diritti di minoranza per gli ebrei, nel quadro di una Federazione delle Repubbliche arabe socialiste.
La Redazione
Note:
[1] How Israel Helped to Spawn Hamas
[2] PALESTINE Hamas, le produit du Mossad