La Violenza contro le donne al di là delle passerelle elettorali e delle passeggiate agitate

di NB e MP 

Dedichiamo questo articolo alle donne palestinesi, di cui rivendichiamo la protezione, e al popolo palestinese in generale, per il quale chiediamo la fine della guerra di sterminio e sfollamento contro il popolo nella Striscia di Gaza (e in Cisgiordania). 

 

Foto La Presse

 

Un quadro allarmante ma non imprevisto

Mai come oggi in Italia, le parole violenza e “patriarcato” sono al centro del dibattito politico, anche quello più mainstream e di stampo generalista. I terribili fatti di cronaca sono strumentalizzati dalla destra e dalla sinistra di regime sulle tv e negli interventi politici istituzionali e pubblici per accaparrarsi consensi in un momento di grande smarrimento tra la popolazione. La violenza di genere (in tutte le sue manifestazioni e declinazioni) è una piaga sociale che unisce l’Italia al terribile trend del mondo occidentale. 

Al di là delle attenzioni mediatiche, ciò che non può essere ignorato è che le donne non sono al sicuro in nessun luogo in Italia. Non lo sono tra le mura domestiche, non lo sono sul posto di lavoro, tantomeno per strada. Le cifre diffuse dall’Istat sono allarmanti: 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: 4 milioni 353 mila hanno subìto violenza fisica, 4 milioni 520 mila violenza sessuale, 652 mila hanno subito un tentato stupro, 2 milioni 800 mila hanno subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner, in particolare 855 mila dal proprio partner e 2 milioni 44 mila da ex partner. Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una volta violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro. 

Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%). Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi!) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). La violenza fisica è più frequente fra le donne straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%), anche se a causa delle leggi liberticide dello Stato italiano molte immigrate sono costrette a non denunciare. Le donne straniere, contrariamente alle italiane, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). 

 

La risposta del Governo Meloni? “La priorità non è la prevenzione”!

Gli sforzi del governo Meloni sono concentrati sulla promozione del disegno di legge “Disposizioni per il contrasto alla violenza sulle donne e contro la violenza domestica”, il cui testo si concentra nuovamente sul potenziamento di misure di punizione e prevenzione terziaria (ovvero del solo ripetersi di una violenza già avvenuta), in linea con i miseri investimenti attuati. Il Governo della donna underdog Giorgia Meloni ha tagliato i fondi per la prevenzione della violenza contro le donne del 70%. Dai 17 milioni di euro stanziati dal non certo femminista governo Draghi per il 2022 siamo passati a 5 milioni per il 2023. Solo il 12% del finanziamento è indirizzato ad azioni di prevenzione. una dimostrazione ulteriore del fatto che non è il genere del politicante a farne la politica, ma la sua appartenenza di classe. E Giorgia Meloni difende il capitalismo, le disuguaglianze economiche e il ruolo della donna come strumento di riproduzione del genere umano. 

Ma tutto questo non è un’esclusiva dell’attuale governo di centrodestra. La distribuzione delle risorse rende evidente che le strategie dei governi degli ultimi quattro anni sono state di tipo repressivo e non preventivo. L’obiettivo è stato quello di far fronte al fenomeno quando la violenza era già avvenuta. Anche analizzando gli investimenti nella prevenzione, emerge che il 55% di questi è destinato alla prevenzione terziaria (cioè alla rieducazione degli autori delle violenze per abbassare il tasso di recidiva), a misure urgenti di protezione e misure cautelari coercitive. Su 248,8 milioni di euro, solo 13,8 milioni sono dedicati alla prevenzione primaria, cioè a campagne di sensibilizzazione, e all’educazione nelle scuole. E anche tutte queste misure non possono che essere fortemente ipocrite, perché non ci può essere né sicurezza né tutela se non si è indipendenti economicamente, se non si ha di diritto un alloggio dove vivere e sostentamento economico per mantenere sé stesse ed eventuali figli. In pratica non si può essere al sicuro se non si ha modo di sottrarsi alle situazioni di violenza e di emanciparsi dal proprio persecutore. 

Giorgia Meloni e i suoi scagnozzi stanno per fare un altro ‘regalo’ alle donne che dichiarano di tutelare: la bozza del pacchetto sicurezza approvato dal Consiglio dei Ministri prevede «un regime più articolato per l’esecuzione della pena per le donne condannate quando sono in stato di gravidanza o sono madri di figli fino a tre anni. Non è più obbligatorio il rinvio dell’esecuzione della pena, ma è mantenuta tale facoltà in presenza dei requisiti di legge». Tra gli elementi che possono influire nella valutazione del giudice «ci sarà, per esempio, la recidiva». Viene introdotto anche un «aggravamento di pena nei casi in cui i reati di violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale siano commessi contro agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria». 

 

Il movimento contro la violenza sulle donne in Italia

L’uccisione della giovane Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato e il clamore mediatico delle parole della sorella della vittima, Elena, che definisce l’assassino non un’aporia, un’eccezione, bensì la conseguenza del sistema patriarcale, ha dato sicuramente maggiore impulso ai cortei di Non Una Di Meno che si svolgono ogni anno nel mese di novembre. Negli ultimi anni, già prima del COVID, la partecipazione a questi momenti di piazza era stata poco eterogenea. Animati perlopiù dalle attiviste, i cortei di quest’anno risultano al contrario partecipati oltre che da collettivi e movimenti, anche da una porzione più ampia delle masse, ad esempio intere famiglie e adolescenti, rendendo più consistenti i numeri in piazza: Roma circa 500mila persone, (fonte NUDM), Torino 10.000 (fonte Ansa), Milano 30.000 (fonte NUDM e media locali). Per quanto riguarda le azioni concrete e i sanzionamenti, il corteo di Roma ha visto una dimostrazione pacifica (a meno che non si vogliano considerare armi fumogeni e bombolette spray) davanti alla sede di Pro Vita (a cui la polizia ha risposto con violente manganellate che hanno ferito gravemente 2 attiviste) e l’esposizione di striscioni davanti alla sede Rai di via Mazzini: “Nostro il dolore vostro lo share” e “Vergogna“. Anche in quest’ultimo caso le manifestanti sono poi state fermate dalle forze dell’ordine. Molte le iniziative di accompagnamento e di sensibilizzazione, ancora troppo spesso miopi rispetto al fenomeno che dicono di combattere. 

Nessuna azione è stata infatti, anche quest’anno, rivolta contro le sedi del governo, né alcuna rivendicazione è stata avanzata per misure di sostegno reale alle donne, alloggi popolari, case rifugio, lotta al lavoro precario, sanità universale, misure di welfare per la crescita dei figli, il superamento del matrimonio come unità economica fondante.
Tutto ciò a fronte di una discussione che comunque esiste dentro NUDM (Link), ma che appunto raramente viene portata in piazza e portata al livello della combattività militante. Se le rivendicazioni minime e specifiche non vengono portate con forza nelle piazze sfruttando la leva del potere combattivo delle masse non è possibile incidere sui rapporti di forza che governano la relazione tra gli sfruttatori e gli sfruttati e strappare conquiste sociali. Allo stesso tempo, senza una battaglia combattiva per l’ottenimento di specifici diritti, la partecipazione delle donne lontane dal mondo dell’attivismo militante in questo particolare novembre di cortei rischia di essere un episodio e di non essere valorizzata. Perfino nella costruzione delle giornate di accompagnamento alle manifestazioni di NUDM si sono susseguite iniziative e dibattiti in cui questi aspetti di avanzamento delle coscienze e di pressione combattiva contro le misure di governo sono purtroppo mancati. Nel movimento permane un’attenzione (morbosa e voyeuristica) per i fatti di cronaca e le dichiarazioni di politici e giornalisti, rendendo vani gli sforzi dei tavoli di lavoro che pure ha costruito negli anni (e da cui ha spesso settariamente cacciato via pezzi già organizzati in altri movimenti e raggruppamenti politici). Il nemico indicato è perlopiù il patriarcato come agente occulto di tutte le forme di oppressione delle donne e la sua incarnazione nel maschio possessivo e violento. Il movimento NUDM insegue “una trasformazione radicale delle condizioni culturali e sociali che producono violenza, abusi, discriminazione e marginalizzazione delle donne, delle soggettività lgbtqia+ e migranti”, ma il problema non è culturale, è economico. Viviamo nel capitalismo, un sistema economico che consente a pochi (i proprietari dei mezzi di produzione o padroni) di costringere molti a prestargli forza lavoro e a ricomprare tutto quello che viene prodotto e immesso sul mercato. Mantenere assoggettata questa enorme massa di oppressi richiede condizioni minime di sussistenza generalizzate (una sorta di benessere minimo di gregge) e di sovrastrutture divisive e distraenti dei veri obiettivi e nemici (leggi, istituzioni, produzione “culturale”). In questo quadro rientrano anche gli aspetti ideologici del rapporto uomo-donna come la centralità del matrimonio quale forma di possesso del partner, la centralità della fedeltà, l’attenzione macabra per la genitorialità e l’ossessione per la corrispondenza tra genitali e identità di genere. Siamo e saremo sempre, come massa di sfruttati, in balia di queste sovrastrutture divisive e distraenti se non si sconfiggono le radici della loro esistenza: la necessità di dividere le masse per poter continuare a fare profitti grazie al lavoro salariato. Il movimento NUDM, con i suoi tavoli di lavoro scollati dagli altri movimenti per la conquista di diritti materiali e soprattutto senza alcun collegamento con la classe lavoratrice, rischia di lasciare le soggettività che stanno riponendo in esso le proprie speranze con l’amara rassegnazione che non si possa ottenere nulla se non far sentire occasionalmente “il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”. Animati da un femminismo che cerca l’emancipazione della donna attraverso il diritto borghese senza troppo sfidarlo fuori i palazzi del potere, gli strumenti dell’inchiesta e degli stessi tavoli tematici appaiono fuori fuoco rispetto alla possibilità di ottenere risultati, anche nell’immediato. Occorre invertire questa rotta. 

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La Violenza contro le donne al di là delle passerelle elettorali e delle passeggiate agitate

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di NB e MP 

Dedichiamo questo articolo alle donne palestinesi, di cui rivendichiamo la protezione, e al popolo palestinese in generale, per il quale chiediamo la fine della guerra di sterminio e sfollamento contro il popolo nella Striscia di Gaza (e in Cisgiordania). 

 

Foto La Presse

 

Un quadro allarmante ma non imprevisto

Mai come oggi in Italia, le parole violenza e “patriarcato” sono al centro del dibattito politico, anche quello più mainstream e di stampo generalista. I terribili fatti di cronaca sono strumentalizzati dalla destra e dalla sinistra di regime sulle tv e negli interventi politici istituzionali e pubblici per accaparrarsi consensi in un momento di grande smarrimento tra la popolazione. La violenza di genere (in tutte le sue manifestazioni e declinazioni) è una piaga sociale che unisce l’Italia al terribile trend del mondo occidentale. 

Al di là delle attenzioni mediatiche, ciò che non può essere ignorato è che le donne non sono al sicuro in nessun luogo in Italia. Non lo sono tra le mura domestiche, non lo sono sul posto di lavoro, tantomeno per strada. Le cifre diffuse dall’Istat sono allarmanti: 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: 4 milioni 353 mila hanno subìto violenza fisica, 4 milioni 520 mila violenza sessuale, 652 mila hanno subito un tentato stupro, 2 milioni 800 mila hanno subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner, in particolare 855 mila dal proprio partner e 2 milioni 44 mila da ex partner. Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una volta violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro. 

Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%). Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi!) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). La violenza fisica è più frequente fra le donne straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%), anche se a causa delle leggi liberticide dello Stato italiano molte immigrate sono costrette a non denunciare. Le donne straniere, contrariamente alle italiane, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). 

 

La risposta del Governo Meloni? “La priorità non è la prevenzione”!

Gli sforzi del governo Meloni sono concentrati sulla promozione del disegno di legge “Disposizioni per il contrasto alla violenza sulle donne e contro la violenza domestica”, il cui testo si concentra nuovamente sul potenziamento di misure di punizione e prevenzione terziaria (ovvero del solo ripetersi di una violenza già avvenuta), in linea con i miseri investimenti attuati. Il Governo della donna underdog Giorgia Meloni ha tagliato i fondi per la prevenzione della violenza contro le donne del 70%. Dai 17 milioni di euro stanziati dal non certo femminista governo Draghi per il 2022 siamo passati a 5 milioni per il 2023. Solo il 12% del finanziamento è indirizzato ad azioni di prevenzione. una dimostrazione ulteriore del fatto che non è il genere del politicante a farne la politica, ma la sua appartenenza di classe. E Giorgia Meloni difende il capitalismo, le disuguaglianze economiche e il ruolo della donna come strumento di riproduzione del genere umano. 

Ma tutto questo non è un’esclusiva dell’attuale governo di centrodestra. La distribuzione delle risorse rende evidente che le strategie dei governi degli ultimi quattro anni sono state di tipo repressivo e non preventivo. L’obiettivo è stato quello di far fronte al fenomeno quando la violenza era già avvenuta. Anche analizzando gli investimenti nella prevenzione, emerge che il 55% di questi è destinato alla prevenzione terziaria (cioè alla rieducazione degli autori delle violenze per abbassare il tasso di recidiva), a misure urgenti di protezione e misure cautelari coercitive. Su 248,8 milioni di euro, solo 13,8 milioni sono dedicati alla prevenzione primaria, cioè a campagne di sensibilizzazione, e all’educazione nelle scuole. E anche tutte queste misure non possono che essere fortemente ipocrite, perché non ci può essere né sicurezza né tutela se non si è indipendenti economicamente, se non si ha di diritto un alloggio dove vivere e sostentamento economico per mantenere sé stesse ed eventuali figli. In pratica non si può essere al sicuro se non si ha modo di sottrarsi alle situazioni di violenza e di emanciparsi dal proprio persecutore. 

Giorgia Meloni e i suoi scagnozzi stanno per fare un altro ‘regalo’ alle donne che dichiarano di tutelare: la bozza del pacchetto sicurezza approvato dal Consiglio dei Ministri prevede «un regime più articolato per l’esecuzione della pena per le donne condannate quando sono in stato di gravidanza o sono madri di figli fino a tre anni. Non è più obbligatorio il rinvio dell’esecuzione della pena, ma è mantenuta tale facoltà in presenza dei requisiti di legge». Tra gli elementi che possono influire nella valutazione del giudice «ci sarà, per esempio, la recidiva». Viene introdotto anche un «aggravamento di pena nei casi in cui i reati di violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale siano commessi contro agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria». 

 

Il movimento contro la violenza sulle donne in Italia

L’uccisione della giovane Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato e il clamore mediatico delle parole della sorella della vittima, Elena, che definisce l’assassino non un’aporia, un’eccezione, bensì la conseguenza del sistema patriarcale, ha dato sicuramente maggiore impulso ai cortei di Non Una Di Meno che si svolgono ogni anno nel mese di novembre. Negli ultimi anni, già prima del COVID, la partecipazione a questi momenti di piazza era stata poco eterogenea. Animati perlopiù dalle attiviste, i cortei di quest’anno risultano al contrario partecipati oltre che da collettivi e movimenti, anche da una porzione più ampia delle masse, ad esempio intere famiglie e adolescenti, rendendo più consistenti i numeri in piazza: Roma circa 500mila persone, (fonte NUDM), Torino 10.000 (fonte Ansa), Milano 30.000 (fonte NUDM e media locali). Per quanto riguarda le azioni concrete e i sanzionamenti, il corteo di Roma ha visto una dimostrazione pacifica (a meno che non si vogliano considerare armi fumogeni e bombolette spray) davanti alla sede di Pro Vita (a cui la polizia ha risposto con violente manganellate che hanno ferito gravemente 2 attiviste) e l’esposizione di striscioni davanti alla sede Rai di via Mazzini: “Nostro il dolore vostro lo share” e “Vergogna“. Anche in quest’ultimo caso le manifestanti sono poi state fermate dalle forze dell’ordine. Molte le iniziative di accompagnamento e di sensibilizzazione, ancora troppo spesso miopi rispetto al fenomeno che dicono di combattere. 

Nessuna azione è stata infatti, anche quest’anno, rivolta contro le sedi del governo, né alcuna rivendicazione è stata avanzata per misure di sostegno reale alle donne, alloggi popolari, case rifugio, lotta al lavoro precario, sanità universale, misure di welfare per la crescita dei figli, il superamento del matrimonio come unità economica fondante.
Tutto ciò a fronte di una discussione che comunque esiste dentro NUDM (Link), ma che appunto raramente viene portata in piazza e portata al livello della combattività militante. Se le rivendicazioni minime e specifiche non vengono portate con forza nelle piazze sfruttando la leva del potere combattivo delle masse non è possibile incidere sui rapporti di forza che governano la relazione tra gli sfruttatori e gli sfruttati e strappare conquiste sociali. Allo stesso tempo, senza una battaglia combattiva per l’ottenimento di specifici diritti, la partecipazione delle donne lontane dal mondo dell’attivismo militante in questo particolare novembre di cortei rischia di essere un episodio e di non essere valorizzata. Perfino nella costruzione delle giornate di accompagnamento alle manifestazioni di NUDM si sono susseguite iniziative e dibattiti in cui questi aspetti di avanzamento delle coscienze e di pressione combattiva contro le misure di governo sono purtroppo mancati. Nel movimento permane un’attenzione (morbosa e voyeuristica) per i fatti di cronaca e le dichiarazioni di politici e giornalisti, rendendo vani gli sforzi dei tavoli di lavoro che pure ha costruito negli anni (e da cui ha spesso settariamente cacciato via pezzi già organizzati in altri movimenti e raggruppamenti politici). Il nemico indicato è perlopiù il patriarcato come agente occulto di tutte le forme di oppressione delle donne e la sua incarnazione nel maschio possessivo e violento. Il movimento NUDM insegue “una trasformazione radicale delle condizioni culturali e sociali che producono violenza, abusi, discriminazione e marginalizzazione delle donne, delle soggettività lgbtqia+ e migranti”, ma il problema non è culturale, è economico. Viviamo nel capitalismo, un sistema economico che consente a pochi (i proprietari dei mezzi di produzione o padroni) di costringere molti a prestargli forza lavoro e a ricomprare tutto quello che viene prodotto e immesso sul mercato. Mantenere assoggettata questa enorme massa di oppressi richiede condizioni minime di sussistenza generalizzate (una sorta di benessere minimo di gregge) e di sovrastrutture divisive e distraenti dei veri obiettivi e nemici (leggi, istituzioni, produzione “culturale”). In questo quadro rientrano anche gli aspetti ideologici del rapporto uomo-donna come la centralità del matrimonio quale forma di possesso del partner, la centralità della fedeltà, l’attenzione macabra per la genitorialità e l’ossessione per la corrispondenza tra genitali e identità di genere. Siamo e saremo sempre, come massa di sfruttati, in balia di queste sovrastrutture divisive e distraenti se non si sconfiggono le radici della loro esistenza: la necessità di dividere le masse per poter continuare a fare profitti grazie al lavoro salariato. Il movimento NUDM, con i suoi tavoli di lavoro scollati dagli altri movimenti per la conquista di diritti materiali e soprattutto senza alcun collegamento con la classe lavoratrice, rischia di lasciare le soggettività che stanno riponendo in esso le proprie speranze con l’amara rassegnazione che non si possa ottenere nulla se non far sentire occasionalmente “il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”. Animati da un femminismo che cerca l’emancipazione della donna attraverso il diritto borghese senza troppo sfidarlo fuori i palazzi del potere, gli strumenti dell’inchiesta e degli stessi tavoli tematici appaiono fuori fuoco rispetto alla possibilità di ottenere risultati, anche nell’immediato. Occorre invertire questa rotta. 

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