Guerra alla guerra imperialista! Lotta di Classe contro il governo della destra, i banchieri e il padronato
Di seguito il testo del volantino che distribuiremo questo pomeriggio al corteo di Napoli, promosso dagli operai GKN e Movimento disoccupati 7 novembre, e che vede la partecipazione di diverse realtà politiche autorganizzate, sindacali e di movimento provenienti da tutta Italia. Un corteo proletario particolarmente significativo in tempi di manganelli all’università e decreti legge anti-manifestazioni, anti-picchetti, anti-sciopero, anti-occupazioni (anche quando vengono chiamati anti-rave), per cui chiamiamo quindi alla massima partecipazione!
Crisi e guerra del capitale
L’infinita crisi del capitalismo mondiale continua a produrre morte, distruzione, impoverimento di massa e ipersfruttamento della classe lavoratrice, dapprima con l’incapacità criminale di gestire una pandemia globale da 7 milioni di morti, e poi scatenando una guerra imperialista in Ucraina dalle conseguenze catastrofiche sotto vari aspetti. L’attuale fase del capitalismo monopolista e imperialista rappresenta quella fase in cui lo sviluppo delle forze produttive diventa sviluppo delle forze distruttive. L’indipendenza ucraina, sbandierata dalla stampa mainstreamborghese come questione centrale dell’odierno conflitto, è in realtà la scusante che le grandi potenze utilizzano per le proprie mire espansioniste in terra d’Ucraina, che porterà, qualunque sia l’esito della guerra, a una sua maggiore dipendenza dalla Russia o dalla NATO, la quale NATO ha sistematicamente preparato la guerra attuale fin dal momento della dissoluzione dell’ex Unione Sovietica. L’incorporazione dell’Ucraina nell’Unione Europea, come è successo con la Polonia e gli altri Paesi satelliti dell’URSS, che sono stati trasformati in fucine di forza lavoro a basso costo, soprattutto per il capitale tedesco, è uno snodo fondamentale per le mire dell’imperialismo occidentale, lo stesso che aveva già bombardato e disintegrato la Jugoslavia per aprirsi la strada verso Est. L’integrazione nel capitale internazionale dell’ex spazio sovietico (stesso discorso per la Cina) è lo scopo principale della restaurazione capitalistica, ma questo processo è stato storicamente un fenomeno di forza e di violenza, non è mai stato pacifico e ciò ora è sotto gli occhi di tutti. O meglio, di quasi tutti, visto che anche nell’ambito della sinistra, politica, sindacale, di movimento, perfino sedicente di classe, non c’è chi esita a dipingere quello attuale come un conflitto semplicemente tra Russia e Ucraina, tra autocrazia e democrazia, di autodeterminazione nazionale o di difesa antimperialista, ecc. Il coinvolgimento di tutte le grandi potenze non si manifesta comunque solo nelle sanzioni economiche o nel supporto logistico/militare, ma anche nell’instabilità politica che attraversa tutti i governi del regime borghese, e il nostro Paese ne è un esempio.
Governo Meloni: propaganda identitaria e nessuna soluzione per le masse e per la crisi
L’Italia è entrata in questa nuova fase di crisi del capitalismo in condizioni di estrema debolezza. Il tratto peculiare della crisi economica del belpaese, che fa i conti con un tessuto industriale inadatto a competere economicamente nel contesto globale, si è riflesso in una crescente crisi sociale e politica assai più critica rispetto all’eurozona. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dalla chiusura di aziende, dalla perdita di posti di lavoro, da un tasso di disoccupazione giovanile molto più alto della media europea (25%, con punte del 60% in alcune zone del meridione), dall’aumento della precarietà e dei lavoratori poveri e dalla scarsità di investimenti pubblici e privati, che hanno condannato l’economia italiana a oscillare costantemente tra la recessione e la crescita di qualche decimale, ai limiti del collasso. Dal punto di vista politico, abbiamo assistito al fallimento di ben otto governi di vari colori dal 2008 ad oggi. Nessuno di essi è riuscito a frenare la deriva economica, né a trovare risposte soddisfacenti ai problemi delle masse, né a consolidare consensi attorno a sé. Il nascente governo Meloni si è insediato al potere in un contesto di forte crisi politica vincendo le elezioni con il più alto tasso di astensione registrato dal dopoguerra ad oggi. L’attuale situazione economica e sociale aggravata da 2 anni di pandemia e ora dalla guerra include l’inflazione più alta dal 1984 ad oggi (12% ad ottobre), il conseguente aumento del carovita che incombe sul già scarso potere d’acquisto di lavoratori e disoccupati, il rischio di chiusura per oltre 120.000 imprese (di cui molte piccole e microimprese, che rappresentano anche il bacino elettorale di FdI) e un rapporto tra debito pubblico e PIL che supera il 150%. Il governo quindi si troverà a fronteggiare la crisi sociale delle masse lavoratrici impoverite, quella della piccola imprenditoria conquistata con la propaganda elettorale, la guerra e le pressioni della finanza internazionale. Al di là della propaganda identitaria sull’Europa cristiana e sulla rivendicazione di un ruolo meno marginale dell’Italia nell’UE, la manovra politica ed economica che si sta delineando si pone in linea con quelle dei governi precedenti, con i loro fallimenti e con le direttive europee e della finanza internazionale che impongono solo misure temporanee: quindi bonus una tantum per famiglie e imprese, impossibilità di superare la riforma Fornero (votata dalla stessa Meloni) per pagare il debito pubblico con i contributi versati dai lavoratori, un aumento della repressione delle lotte e un giuramento di fede all’imperialismo mondiale, alla Nato e alla sua guerra che attacca i lavoratori e le lavoratrici di tutto il mondo. Le scaramucce con Berlusconi e le sparate filo-Putin di quest’ultimomostrano, però, un punto di debolezza che ha radici in problemi materiali esistenti, ovvero: la borghesia italiana per conto di cuiMeloni deve governare non è del tutto unita sul fronte della guerra, così come non lo era sulla pandemia. Inoltre, il governo cerca di andare incontro più marcatamente agli interessi immediati delle imprese, che sono inconciliabili con quelli dei lavoratori e delle masse, modificando infatti il reddito di cittadinanza in modo da rendere i disoccupati più ricattabili con l’obbligatorietà di accettare salari da fame, più consoni alla sopravvivenza della piccola e media imprenditoria. Per consolidare il consenso in quest’ultima, vengono, inoltre, attaccati propagandisticamente lockdown e chiusure della prima fase pandemica, contro gli interessi della classe operaia costretta a lavorare in presenza a rischio della propria della salute.
La risposta proletaria: costruire lo sciopero generale di massa ad oltranza
Urge la dura risposta del mondo del lavoro, disoccupati compresi visto che quest’ultimi altri non sono che i proletari temporaneamente espulsi dalla catena della produzione e la manodopera di riserva da sfruttare per le trattative al ribasso su salari e condizioni di lavoro. Un grande esempio di replica ai padroni è stata negli ultimi anni la lotta degli operai alla GKN di Campi Bisenzio (FI). È fondamentale che anche il movimento dei disoccupati, così come quello degli studenti, delle donne, dei migranti, della difesa dalla catastrofe ambientale, partecipino pienamente alla costruzione il prima possibile di uno sciopero generale di massa del mondo del lavoro, l’unico atto politico capace di dare il via alla materializzazione di una crisi del regime borghese in atto da tempo. Per ricomporre una siffatta unità di lotta, tale sciopero generale dovrà agire su rivendicazioni unificanti quali:
– Salario minimo di 1600 euro netti e Salario sociale ai disoccupati di almeno 1100 euro netti; entrambi comunque agganciati al tasso d’inflazione e quindi adeguati al carovita tramite un sistema di scala mobile dei salari
– Riduzione della giornata e della settimana lavorativa a parità di salario, 6 ore al giorno e 30 ore alla settimana
– Abolizione del Jobs Act e di tutte le leggi del precariato, trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo pieno e indeterminato
– Abolizione della legge Fornero e ritorno al sistema retributivo, ossia finanziato dalla fiscalità generale, con pensioni pari all’80% dell’ultimo salario e non inferiori a 1300 euro al mese
– Sistema pensionistico con massimo 30 anni di lavoro o 57 anni di età, 55 per i lavori più usuranti
– STOP all’invio di armi in Ucraina; blocco della produzione bellica e sua riconversione a scopi civili
– Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori delle aziende che licenziano e delle fabbriche che inquinano
– No al pagamento del debito pubblico con Nazionalizzazione senza indennizzo di banche e assicurazioni e di tutto il sistema creditizio
Prospettiva Operaia
Assalto al cielo
Diario della talpa
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Guerra alla guerra imperialista! Lotta di Classe contro il governo della destra, i banchieri e il padronato
Di seguito il testo del volantino che distribuiremo questo pomeriggio al corteo di Napoli, promosso dagli operai GKN e Movimento disoccupati 7 novembre, e che vede la partecipazione di diverse realtà politiche autorganizzate, sindacali e di movimento provenienti da tutta Italia. Un corteo proletario particolarmente significativo in tempi di manganelli all’università e decreti legge anti-manifestazioni, anti-picchetti, anti-sciopero, anti-occupazioni (anche quando vengono chiamati anti-rave), per cui chiamiamo quindi alla massima partecipazione!
Crisi e guerra del capitale
L’infinita crisi del capitalismo mondiale continua a produrre morte, distruzione, impoverimento di massa e ipersfruttamento della classe lavoratrice, dapprima con l’incapacità criminale di gestire una pandemia globale da 7 milioni di morti, e poi scatenando una guerra imperialista in Ucraina dalle conseguenze catastrofiche sotto vari aspetti. L’attuale fase del capitalismo monopolista e imperialista rappresenta quella fase in cui lo sviluppo delle forze produttive diventa sviluppo delle forze distruttive. L’indipendenza ucraina, sbandierata dalla stampa mainstreamborghese come questione centrale dell’odierno conflitto, è in realtà la scusante che le grandi potenze utilizzano per le proprie mire espansioniste in terra d’Ucraina, che porterà, qualunque sia l’esito della guerra, a una sua maggiore dipendenza dalla Russia o dalla NATO, la quale NATO ha sistematicamente preparato la guerra attuale fin dal momento della dissoluzione dell’ex Unione Sovietica. L’incorporazione dell’Ucraina nell’Unione Europea, come è successo con la Polonia e gli altri Paesi satelliti dell’URSS, che sono stati trasformati in fucine di forza lavoro a basso costo, soprattutto per il capitale tedesco, è uno snodo fondamentale per le mire dell’imperialismo occidentale, lo stesso che aveva già bombardato e disintegrato la Jugoslavia per aprirsi la strada verso Est. L’integrazione nel capitale internazionale dell’ex spazio sovietico (stesso discorso per la Cina) è lo scopo principale della restaurazione capitalistica, ma questo processo è stato storicamente un fenomeno di forza e di violenza, non è mai stato pacifico e ciò ora è sotto gli occhi di tutti. O meglio, di quasi tutti, visto che anche nell’ambito della sinistra, politica, sindacale, di movimento, perfino sedicente di classe, non c’è chi esita a dipingere quello attuale come un conflitto semplicemente tra Russia e Ucraina, tra autocrazia e democrazia, di autodeterminazione nazionale o di difesa antimperialista, ecc. Il coinvolgimento di tutte le grandi potenze non si manifesta comunque solo nelle sanzioni economiche o nel supporto logistico/militare, ma anche nell’instabilità politica che attraversa tutti i governi del regime borghese, e il nostro Paese ne è un esempio.
Governo Meloni: propaganda identitaria e nessuna soluzione per le masse e per la crisi
L’Italia è entrata in questa nuova fase di crisi del capitalismo in condizioni di estrema debolezza. Il tratto peculiare della crisi economica del belpaese, che fa i conti con un tessuto industriale inadatto a competere economicamente nel contesto globale, si è riflesso in una crescente crisi sociale e politica assai più critica rispetto all’eurozona. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dalla chiusura di aziende, dalla perdita di posti di lavoro, da un tasso di disoccupazione giovanile molto più alto della media europea (25%, con punte del 60% in alcune zone del meridione), dall’aumento della precarietà e dei lavoratori poveri e dalla scarsità di investimenti pubblici e privati, che hanno condannato l’economia italiana a oscillare costantemente tra la recessione e la crescita di qualche decimale, ai limiti del collasso. Dal punto di vista politico, abbiamo assistito al fallimento di ben otto governi di vari colori dal 2008 ad oggi. Nessuno di essi è riuscito a frenare la deriva economica, né a trovare risposte soddisfacenti ai problemi delle masse, né a consolidare consensi attorno a sé. Il nascente governo Meloni si è insediato al potere in un contesto di forte crisi politica vincendo le elezioni con il più alto tasso di astensione registrato dal dopoguerra ad oggi. L’attuale situazione economica e sociale aggravata da 2 anni di pandemia e ora dalla guerra include l’inflazione più alta dal 1984 ad oggi (12% ad ottobre), il conseguente aumento del carovita che incombe sul già scarso potere d’acquisto di lavoratori e disoccupati, il rischio di chiusura per oltre 120.000 imprese (di cui molte piccole e microimprese, che rappresentano anche il bacino elettorale di FdI) e un rapporto tra debito pubblico e PIL che supera il 150%. Il governo quindi si troverà a fronteggiare la crisi sociale delle masse lavoratrici impoverite, quella della piccola imprenditoria conquistata con la propaganda elettorale, la guerra e le pressioni della finanza internazionale. Al di là della propaganda identitaria sull’Europa cristiana e sulla rivendicazione di un ruolo meno marginale dell’Italia nell’UE, la manovra politica ed economica che si sta delineando si pone in linea con quelle dei governi precedenti, con i loro fallimenti e con le direttive europee e della finanza internazionale che impongono solo misure temporanee: quindi bonus una tantum per famiglie e imprese, impossibilità di superare la riforma Fornero (votata dalla stessa Meloni) per pagare il debito pubblico con i contributi versati dai lavoratori, un aumento della repressione delle lotte e un giuramento di fede all’imperialismo mondiale, alla Nato e alla sua guerra che attacca i lavoratori e le lavoratrici di tutto il mondo. Le scaramucce con Berlusconi e le sparate filo-Putin di quest’ultimomostrano, però, un punto di debolezza che ha radici in problemi materiali esistenti, ovvero: la borghesia italiana per conto di cuiMeloni deve governare non è del tutto unita sul fronte della guerra, così come non lo era sulla pandemia. Inoltre, il governo cerca di andare incontro più marcatamente agli interessi immediati delle imprese, che sono inconciliabili con quelli dei lavoratori e delle masse, modificando infatti il reddito di cittadinanza in modo da rendere i disoccupati più ricattabili con l’obbligatorietà di accettare salari da fame, più consoni alla sopravvivenza della piccola e media imprenditoria. Per consolidare il consenso in quest’ultima, vengono, inoltre, attaccati propagandisticamente lockdown e chiusure della prima fase pandemica, contro gli interessi della classe operaia costretta a lavorare in presenza a rischio della propria della salute.
La risposta proletaria: costruire lo sciopero generale di massa ad oltranza
Urge la dura risposta del mondo del lavoro, disoccupati compresi visto che quest’ultimi altri non sono che i proletari temporaneamente espulsi dalla catena della produzione e la manodopera di riserva da sfruttare per le trattative al ribasso su salari e condizioni di lavoro. Un grande esempio di replica ai padroni è stata negli ultimi anni la lotta degli operai alla GKN di Campi Bisenzio (FI). È fondamentale che anche il movimento dei disoccupati, così come quello degli studenti, delle donne, dei migranti, della difesa dalla catastrofe ambientale, partecipino pienamente alla costruzione il prima possibile di uno sciopero generale di massa del mondo del lavoro, l’unico atto politico capace di dare il via alla materializzazione di una crisi del regime borghese in atto da tempo. Per ricomporre una siffatta unità di lotta, tale sciopero generale dovrà agire su rivendicazioni unificanti quali:
– Salario minimo di 1600 euro netti e Salario sociale ai disoccupati di almeno 1100 euro netti; entrambi comunque agganciati al tasso d’inflazione e quindi adeguati al carovita tramite un sistema di scala mobile dei salari
– Riduzione della giornata e della settimana lavorativa a parità di salario, 6 ore al giorno e 30 ore alla settimana
– Abolizione del Jobs Act e di tutte le leggi del precariato, trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo pieno e indeterminato
– Abolizione della legge Fornero e ritorno al sistema retributivo, ossia finanziato dalla fiscalità generale, con pensioni pari all’80% dell’ultimo salario e non inferiori a 1300 euro al mese
– Sistema pensionistico con massimo 30 anni di lavoro o 57 anni di età, 55 per i lavori più usuranti
– STOP all’invio di armi in Ucraina; blocco della produzione bellica e sua riconversione a scopi civili
– Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori delle aziende che licenziano e delle fabbriche che inquinano
– No al pagamento del debito pubblico con Nazionalizzazione senza indennizzo di banche e assicurazioni e di tutto il sistema creditizio
Prospettiva Operaia
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Diario della talpa