Dal caso Cospito alla consacrazione della repressione politica
La battaglia che Alfredo Cospito, militante anarchico detenuto in regime di 41bis, sta portando avanti, ha la forza per aprire le più ampie faglie del sistema capitalista e un dibattito reale sulla necessità di superamento di due istituti disumani come l’ergastolo e il 41bis, oltre che dell’intero sistema dei circuiti speciali di detenzione. Il vero tema è quindi quello dell’abolizione dell’ergastolo in toto, nell’ottica di una futura trasformazione dell’intera istituzione carceraria, strumento di confinamento della marginalità e della povertà (basta vedere da chi è oggi costituita la grande maggioranza della popolazione carceraria, e quali sono i reati di cui questi detenuti sono accusati) nonché di controllo e punizione rispetto a tutte le potenziali conflittualità sociali. Altre letture rischiano di diventare strumentali al mantenimento dello status quo.
Detenzione inumana
Alfredo Cospito, oltre a una pena a 16 anni e 6 mesi per l’azione rivendicata del ferimento dell’ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, nel 2012, è stato condannato in primo e secondo grado perché riconosciuto come autore dell’esplosione di due pacchi esplosivi a basso potenziale, la notte del 2 e 3 giugno 2006, nei pressi della scuola degli Allievi Carabinieri di Fossano (Cuneo), azione questa per la quale, invece, Cospito si dichiara estraneo. Non essendoci stati morti né feriti, per questi reati, per i quali Cospito era stato condannato in primo e secondo grado a 20 anni di reclusione, a luglio la corte di Cassazione ha ridefinito il reato da “strage contro la pubblica incolumità” in “strage contro la sicurezza dello Stato” (nonostante le azioni di cui è accusato avessero uno scopo palesemente dimostrativo), fattispecie che prevede l’ergastolo ostativo, cioè l’impossibilità di godere dei cosiddetti benefici penitenziari. Attualmente è l’unico soggetto detenuto in regime di massima sicurezza con queste accuse, circostanza che chiarisce ancor di più la natura politica dei provvedimenti giudiziari. A Cospito è stato applicato, inoltre, il regime carcerario del 41bis, il carcere duro, perché considerato ancora in grado di mantenere contatti con componenti della galassia anarchica, riconducendo allo stesso perfino le azioni che si stanno succedendo in sua solidarietà (“non posso essere responsabile di tutti gli atti degli anarchici del mondo” ha dichiarato lapalissianamente Cospito. La dichiarazione di Cospito è coerente con il suo ruolo di militante in un’area di lotta informale, che non prevede comunque né dirigenti né capi né responsabili).
Ai detenuti in regime di 41 bis sono limitate alcune delle facoltà previste per tutti gli altri carcerati, è consentito un solo colloquio al mese, esclusivamente con familiari e conviventi, e gli incontri, salvo quelli con il difensore, sono sempre registrati. È prevista, inoltre, una limitazione dei contatti che il detenuto può avere con gli altri soggetti all’interno del penitenziario, una forte limitazione degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno e l’intervallo fuori dalla cella può durare al massimo due ore. Infine c’è il controllo sulla corrispondenza in entrata e uscita e persino quello che è un pilastro (che però tanto piace a molti sedicenti “compagni”) dell’ipocrita Stato di diritto borghese, la Corte Costituzionale, è intervenuta a tal proposito dichiarando che “i contenuti del pensiero politico non possono discriminare la possibilità di esprimerlo”. L’Italia non riesce neanche a rispettare le regole che gli stessi regimi borghesi si danno per fingere di non essere sistemi disumani di morte e sfruttamento. L’Italia conta numerose condanne anche da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo a causa dell’inadeguatezza del suo sistema carcerario, con strutture che possono garantire nient’altro che “trattamenti inumani e degradanti”. Anche seguendo lo schema di ragionamento di un sistema democratico-borghese, per sua natura iniquo, si può dire che esso risponda ai principi rieducativi della pena e di proporzionalità tra pena e reato? In un sistema sanzionatorio che dovrebbe essere orientato ai principi di rieducazione della pena, istituti detentivi del genere smascherano l’ipocrisia dell’ordinamento borghese, che concepisce solo la ferocia della punizione, l’utilizzo del terrore carcerario, la deresponsabilizzazione dalle conseguenze del proprio sistema di privazione e sfruttamento. Cospito, per protesta contro la sua condizione detentiva, ha intrapreso uno sciopero della fame da 150 giorni e ha manifestato la chiara volontà di voler proseguire il digiuno e di rifiutare qualsiasi alimentazione forzata.
Avvertimento repressivo
“Eventuali atti di clemenza sono concessi quando c’è un ravvedimento, una buona condotta. Non mi pare che Cospito si sia ravveduto e inoltre lo Stato non sta compiendo alcun illecito contro di lui. Si è dichiarato apertamente terrorista ed è stato condannato, non è in una fase di misura cautelare”. Con queste parole, pronunciate dal sottosegretario alla giustizia Andrea Ostellari (Lega), già famoso per le sue battaglie anti-omosessualità, il governo della destra italiana chiarisce la propria idea di carcerazione. La “buona condotta” non sembra più legata ai comportamenti del detenuto, ma alle sue convinzioni politiche e viene praticamente riconosciuto che il 41bis è una forma consapevole di tortura per ottenere “un’abiura” politica.
E la politica aguzzina delle istituzioni borghesi rispolvera la linea della “fermezza”, per uno “Stato che non tratta” … Ovviamente non tratta con comunisti ed anarchici, quando invece gli interlocutori sono fascisti e mafiosi apparecchia una tavola imbandita. Ciò che disgusta, ma è per noi perfettamente comprensibile, è il fatto che in qualsiasi dibattito nei media mainstream comunisti ed anarchici vengono additati come “stragisti” senza che nessuno controbatta ricordando a tutti che storicamente in Italia gli unici terroristi che hanno compiuto stragi sono quelli neofascisti, spesso e volentieri in combutta e per conto proprio dello Stato borghese.
Ma che la destra reazionaria, oggi al governo, plauda ai regimi di carcere duro e quella liberale sventoli il garantismo solo quando si tratta di influenti milionari è palese, che il Partito Democratico osanni il regime 41bis è nell’ordine delle cose, che il Movimento 5 Stelle (https://www.la7.it/omnibus/video/caso-cospito-silvestri-m5s-giusta-la-decisione-del-governo-31-01-2023-470156) si indigni in difesa del sacro potere giudiziario (premesso che perfino l’Unione Camere Penali è contraria al 41bis) e dell’istituto della pena è solo l’ulteriore dimostrazione di quanto siano organizzazioni lontane da qualsiasi istanza di sinistra, ma non meno grave (anzi più grave) è la difesa del 41bis da parte di De Magistris (https://www.la7.it/laria-che-tira/video/caso-cospito-de-magistris-oggi-non-si-puo-eliminare-il-41-bis-01-02-2023-470408). Se i sedicenti “compagni” che hanno dato vita ad Unione Popolare, come Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, le aree più politicamente arretrate dell’autonomia, non chiedono conto al loro leader, rinnegandolo, di tale posizionamento, dimostrano solo una volta di più che a guidarli è il più becero opportunismo.
Scenario politico
Rivendichiamo il fatto di non esserci uniti al coro di chi annunciava l’arrivo del fascismo con la vittoria elettorale delle destre e l’insediamento del governo Meloni. L’esperienza storica dovrebbe insegnare che esistono due importanti fattori che caratterizzano l’ascesa di un movimento fascista, che solitamente precede la conquista totale delle istituzioni. Sia in Italia che in Germania, agli inizi degli anni Venti del secolo scorso, si poneva la questione della crisi di potere ai vertici della borghesia a seguito degli scioperi e delle ondate di manifestazioni rivoluzionarie che imperversavano e riecheggiavano dalla Rivoluzione Russa; è il caso delle esperienze storiche del biennio rosso in Italia e delle repubbliche dei consigli in Germania dove il principale leitmotiv che veniva agitato dai rivoluzionari nelle fila del proletariato era “fare come in Russia”, ovvero seguire l’esempio dei Soviet e imporre la necessità di costruzione di un mondo nuovo su basi socialiste. Tuttavia la scelta delle alte sfere del capitalismo di affidarsi alle squadracce fasciste non fu dettata soltanto dall’esigenza di arginare un proletariato alla riscossa ma anche dal dover risolvere una crisi profonda all’interno dei suoi stessi apparati istituzionali e risollevare le sorti di interi settori produttivi (specialmente l’industria pesante) duramente colpiti dalle conseguenze del primo conflitto mondiale. Oggi, a parte singoli valorosi episodi, come quello di Gkn, non si assiste ancora ad un’ ascesa impetuosa della lotta di classe fra il proletariato e il capitalismo italiano, che mini le stesse basi del sistema. Non esistendo questo scenario di guerra civile perché la borghesia dovrebbe usare la clava fascista sul proletariato quando riesce benissimo a restare a galla con la classica carta della democrazia borghese? E infatti sia la Lega che Fratelli d’Italia sono partiti politici ben integrati, e non da oggi, all’interno delle istituzioni borghesi ad ogni livello. Ciò però non significa che si possa ignorare del tutto la natura reazionaria dell’attuale governo italiano né che al suo interno non ci siano diversi elementi fascisti, tra i dirigenti e alla base di tali organizzazioni, i quali potrebbero ritagliarsi sempre più spazio, anche entrando in rotta di collisione con gli attuali vertici. Ancor di più, ciò non significa che, proprio a causa di un sistema economico debole e in crisi, l’elemento identitario di una destra finalmente al governo non possa trovare elemento di sfogo e terreno fertile in una deriva securitaria e nella repressione del dissenso. Gli episodi in tal senso si succedono, infatti, settimana per settimana e quanto più si moltiplicano le iniziative di solidarietà con Cospito e si intensifica la battaglia contro il sistema di tortura del 41bis e dell’ergastolo ostativo tanto più vengono blindate intere città e messe in atto “misure cautelari preventive”.
Crisi di sistema, lotta di classe e risposta repressiva
Così come l’attuale mancanza di uno scenario da guerra civile non significa che non ci sia oggi un governo apertamente reazionario, l’attuale debolezza del movimento operaio (per responsabilità della sua direzione) non significa che la gigantesca crisi di regime della società borghese non possa produrre un’impennata della lotta di classe, sicuramente convulsa, ma estremamente plausibile, anche in tempi relativamente brevi.
Ora, l’esacerbarsi della lotta del proletariato comporta l’esacerbarsi dei metodi usati dal capitale. Le future ondate di scioperi e mobilitazioni provocheranno immancabilmente energiche misure di risposta da parte della borghesia. E come scriveva Trotsky ormai quasi un secolo fa: “In nessun paese la borghesia si accontenta della polizia e dell’esercito ufficiale. Negli Stati Uniti, anche nei periodi di “calma”, si mantengono distaccamenti di crumiri militarizzati e bande armate private nelle fabbriche. […] La borghesia si rende chiaramente conto che nella fase attuale la lotta di classe tende immancabilmente a trasformarsi in guerra civile” (L. Trotsky, Programma di transizione, 1938).
E non esiste arma repressiva più forte della carcerazione. Dal punto di vista politico, la posta in gioco quindi oltrepassa l’abrogazione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo, che sono solo le punte di lancia dell’attuale risposta penale al conflitto sociale. Le lotte contro il carcere, come critica delle politiche securitarie, e la lotta sociale e politica allo sfruttamento padronale, come critica radicale alle gerarchie di classe, procedono insieme. Alla teoria secondo cui la prigione combatte e riduce il crimine Michel Foucault opponeva che la prigione, piuttosto, ha la funzione di “produrre la delinquenza, vale a dire un tipo specifico, politicamente ed economicamente meno pericoloso di illegalismo; produrre i delinquenti, una categoria umana al contempo marginalizzata e strettamente controllata […]; produrre il delinquente stesso come un soggetto patologico” (Foucault, Surveiller et punir, 1975).
Su scala individuale le misure penali, in periodi di bassa congiuntura economica, funzionerebbero come l’equivalente di quei meccanismi di controllo sociale che, invece, in periodi di alta congiuntura economica, sarebbero incentrate sul lavoro. Su scala sociale le misure penali permetterebbero allo Stato borghese di gestire la popolazione di quello che Marx chiamava l’“esercito industriale di riserva”.
Lo stesso Marx rileva a più riprese come crimine e capitale siano indissolubilmente intrecciati, essendo la delinquenza una componente essenziale del capitalismo. Più un paese capitalistico è sviluppato, più la criminalità aumenta e le galere si riempiono. Infatti, negli Stati Uniti, la criminalità a giudicare da quanto sono piene le galere, è la più alta del mondo. Perché la criminalità è il frutto della miseria, dello sfruttamento, dell’oppressione, cioè del sistema capitalista. I padroni si servono inoltre della criminalità come capro espiatorio per la rabbia delle classi popolari, utilizzandola come distrattore e abituando le masse a pensare che le uniche rapine e gli unici delitti sono quelli compiuti dai disperati e non quelli che commettono loro ogni giorno con lo sfruttamento capitalista.
Oltre le nefandezze della borghesia: la repressione dei comunisti per mano dello stalinismo
I rivoluzionari, e in particolare i comunisti rivoluzionari, hanno storicamente sopportato il peso di una repressione spesso sfociata nel sangue. Ma se lo Stato dei padroni, lo Stato borghese, ha mostrato tutta la sua ferocia in tale opera, i sinceri comunisti non possono tacere il dramma che ha rappresentato il regime staliniano, anche dal punto di vista della persecuzione di una intera generazione di rivoluzionari. Occorrerebbero centinaia di pagine per trattare degnamente tale argomento ma vista la specifica vicenda da cui siamo partiti accenneremo almeno ad un caso che lo ricorda molto da vicino, quello della lotta dei detenuti trotskisti nei gulag del termidoro russo.
Tutti i pezzi dello Stato borghese sono terrorizzati dallo sciopero della fame di Cospito, terrorizzati da un’estrema azione di protesta che, qualunque sarà il suo esito, è già riuscita ad accendere i riflettori sulla brutalità di sistema. Allo stesso modo era terrorizzato il regime staliniano dallo sciopero della fame di massa che gli oppositori trotskisti incarcerati nei gulag di Kolyma e soprattutto Vorkuta – nel circolo polare artico, con temperature di 50 gradi sotto lo zero – condussero per centotrentadue giorni, al prezzo di parecchi morti, per rivendicare condizioni di prigionia “migliori”.
Perché Stalin era terrorizzato? Per lo stesso motivo per cui lo sono oggi le istituzioni italiane: queste ultime perché per uno Stato che si proclama “democratico” è impossibile da gestire agli occhi delle masse la probabile morte di un cittadino ad esso affidato. Analogamente, Stalin era terrorizzato perché uno Stato che si proclamava (a torto) “comunista” non poteva permettersi di mostrare al proletariato sovietico che egli lasciava morire tra le proprie mani migliaia di (veri) comunisti. Ecco perché il suo regime cercava di mettere la sordina a quella azione di protesta così radicale: dapprima cercando di isolare gli scioperanti dagli altri detenuti; quindi prendendo diversi provvedimenti per impedire che il movimento si estendesse anche al di là delle frontiere, tra cui il divieto della corrispondenza. Infine, ricorrendo a misure estreme come quelle che racconta Pierre Broué nel suo testo “Comunisti contro Stalin”: «Uno dei momenti più penosi si presenta quando cercano di nutrire a forza gli scioperanti facendogli ingoiare un liquido per mezzo di tubi. Questi lottano per impedire l’inserimento del tubo o per rigettare il liquido che gli viene introdotto in bocca. Allora si ricorre sistematicamente alla forza. I prigionieri vengono tenuti fermi da diverse guardie, in certi casi legati. In ogni caso, è un combattimento fisico che gli scioperanti hanno sempre meno forza per sostenere».
Nel caso di Cospito, lo Stato “democratico” italiano non ha – almeno per ora – mostrato l’intenzione di procedere all’alimentazione forzata, a differenza dello Stato “comunista” di Stalin. Ma in quanto a mettere la sordina alla vicenda di Cospito esso non ha nulla da invidiare a quello staliniano.
Il regime carcerario duro degli oppositori trotskisti detenuti nei gulag staliniani si concluse, come detto, dopo centotrentadue giorni. La vendetta di Stalin per avere essi osato sfidarlo fu crudelmente raffinata: dapprima, per far cessare lo sciopero, proclamò che le rivendicazioni sarebbero state tutte accolte; dopo qualche giorno diede l’ordine di uccidere tutti gli scioperanti, che a gruppi di 50-100 alla volta vennero portati nella tundra e assassinati in massa a colpi di mitragliatrice.
Nel caso di Cospito la vendetta è altrettanto crudele, benché non così raffinata considerando la rozzezza del personale politico dello Stato “democratico”: Cospito è stato trasferito in altro carcere provvisto di struttura sanitaria affinché venga “curato” (e non si capisce quale “cura” possa essere somministrata a chi è in sciopero della fame e deciso a condurlo fino alle estreme conseguenze), ma la misura del “41 bis” resta intatta, strenuamente difesa da governo e opposizione parlamentare, dalla grande stampa e dagli opinionisti televisivi, dalla sinistra manettara e da quella umanitaria.
- No ai regimi di tortura dello Stato italiano, il 41bis e l’ergastolo ostativo
- No al “fine pena mai”, no all’ergastolo, pena di morte camuffata
- Contro la repressione dello Stato borghese e quella padronale per mano di squadracce di fascisti o di crumiri, ad ogni picchetto, ad ogni presidio, ad ogni sciopero, ad ogni corteo: distaccamenti operai di autodifesa e servizi d’ordine militanti dell’avanguardia rivoluzionaria
La redazione
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Dal caso Cospito alla consacrazione della repressione politica
La battaglia che Alfredo Cospito, militante anarchico detenuto in regime di 41bis, sta portando avanti, ha la forza per aprire le più ampie faglie del sistema capitalista e un dibattito reale sulla necessità di superamento di due istituti disumani come l’ergastolo e il 41bis, oltre che dell’intero sistema dei circuiti speciali di detenzione. Il vero tema è quindi quello dell’abolizione dell’ergastolo in toto, nell’ottica di una futura trasformazione dell’intera istituzione carceraria, strumento di confinamento della marginalità e della povertà (basta vedere da chi è oggi costituita la grande maggioranza della popolazione carceraria, e quali sono i reati di cui questi detenuti sono accusati) nonché di controllo e punizione rispetto a tutte le potenziali conflittualità sociali. Altre letture rischiano di diventare strumentali al mantenimento dello status quo.
Detenzione inumana
Alfredo Cospito, oltre a una pena a 16 anni e 6 mesi per l’azione rivendicata del ferimento dell’ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, nel 2012, è stato condannato in primo e secondo grado perché riconosciuto come autore dell’esplosione di due pacchi esplosivi a basso potenziale, la notte del 2 e 3 giugno 2006, nei pressi della scuola degli Allievi Carabinieri di Fossano (Cuneo), azione questa per la quale, invece, Cospito si dichiara estraneo. Non essendoci stati morti né feriti, per questi reati, per i quali Cospito era stato condannato in primo e secondo grado a 20 anni di reclusione, a luglio la corte di Cassazione ha ridefinito il reato da “strage contro la pubblica incolumità” in “strage contro la sicurezza dello Stato” (nonostante le azioni di cui è accusato avessero uno scopo palesemente dimostrativo), fattispecie che prevede l’ergastolo ostativo, cioè l’impossibilità di godere dei cosiddetti benefici penitenziari. Attualmente è l’unico soggetto detenuto in regime di massima sicurezza con queste accuse, circostanza che chiarisce ancor di più la natura politica dei provvedimenti giudiziari. A Cospito è stato applicato, inoltre, il regime carcerario del 41bis, il carcere duro, perché considerato ancora in grado di mantenere contatti con componenti della galassia anarchica, riconducendo allo stesso perfino le azioni che si stanno succedendo in sua solidarietà (“non posso essere responsabile di tutti gli atti degli anarchici del mondo” ha dichiarato lapalissianamente Cospito. La dichiarazione di Cospito è coerente con il suo ruolo di militante in un’area di lotta informale, che non prevede comunque né dirigenti né capi né responsabili).
Ai detenuti in regime di 41 bis sono limitate alcune delle facoltà previste per tutti gli altri carcerati, è consentito un solo colloquio al mese, esclusivamente con familiari e conviventi, e gli incontri, salvo quelli con il difensore, sono sempre registrati. È prevista, inoltre, una limitazione dei contatti che il detenuto può avere con gli altri soggetti all’interno del penitenziario, una forte limitazione degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno e l’intervallo fuori dalla cella può durare al massimo due ore. Infine c’è il controllo sulla corrispondenza in entrata e uscita e persino quello che è un pilastro (che però tanto piace a molti sedicenti “compagni”) dell’ipocrita Stato di diritto borghese, la Corte Costituzionale, è intervenuta a tal proposito dichiarando che “i contenuti del pensiero politico non possono discriminare la possibilità di esprimerlo”. L’Italia non riesce neanche a rispettare le regole che gli stessi regimi borghesi si danno per fingere di non essere sistemi disumani di morte e sfruttamento. L’Italia conta numerose condanne anche da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo a causa dell’inadeguatezza del suo sistema carcerario, con strutture che possono garantire nient’altro che “trattamenti inumani e degradanti”. Anche seguendo lo schema di ragionamento di un sistema democratico-borghese, per sua natura iniquo, si può dire che esso risponda ai principi rieducativi della pena e di proporzionalità tra pena e reato? In un sistema sanzionatorio che dovrebbe essere orientato ai principi di rieducazione della pena, istituti detentivi del genere smascherano l’ipocrisia dell’ordinamento borghese, che concepisce solo la ferocia della punizione, l’utilizzo del terrore carcerario, la deresponsabilizzazione dalle conseguenze del proprio sistema di privazione e sfruttamento. Cospito, per protesta contro la sua condizione detentiva, ha intrapreso uno sciopero della fame da 150 giorni e ha manifestato la chiara volontà di voler proseguire il digiuno e di rifiutare qualsiasi alimentazione forzata.
Avvertimento repressivo
“Eventuali atti di clemenza sono concessi quando c’è un ravvedimento, una buona condotta. Non mi pare che Cospito si sia ravveduto e inoltre lo Stato non sta compiendo alcun illecito contro di lui. Si è dichiarato apertamente terrorista ed è stato condannato, non è in una fase di misura cautelare”. Con queste parole, pronunciate dal sottosegretario alla giustizia Andrea Ostellari (Lega), già famoso per le sue battaglie anti-omosessualità, il governo della destra italiana chiarisce la propria idea di carcerazione. La “buona condotta” non sembra più legata ai comportamenti del detenuto, ma alle sue convinzioni politiche e viene praticamente riconosciuto che il 41bis è una forma consapevole di tortura per ottenere “un’abiura” politica.
E la politica aguzzina delle istituzioni borghesi rispolvera la linea della “fermezza”, per uno “Stato che non tratta” … Ovviamente non tratta con comunisti ed anarchici, quando invece gli interlocutori sono fascisti e mafiosi apparecchia una tavola imbandita. Ciò che disgusta, ma è per noi perfettamente comprensibile, è il fatto che in qualsiasi dibattito nei media mainstream comunisti ed anarchici vengono additati come “stragisti” senza che nessuno controbatta ricordando a tutti che storicamente in Italia gli unici terroristi che hanno compiuto stragi sono quelli neofascisti, spesso e volentieri in combutta e per conto proprio dello Stato borghese.
Ma che la destra reazionaria, oggi al governo, plauda ai regimi di carcere duro e quella liberale sventoli il garantismo solo quando si tratta di influenti milionari è palese, che il Partito Democratico osanni il regime 41bis è nell’ordine delle cose, che il Movimento 5 Stelle (https://www.la7.it/omnibus/video/caso-cospito-silvestri-m5s-giusta-la-decisione-del-governo-31-01-2023-470156) si indigni in difesa del sacro potere giudiziario (premesso che perfino l’Unione Camere Penali è contraria al 41bis) e dell’istituto della pena è solo l’ulteriore dimostrazione di quanto siano organizzazioni lontane da qualsiasi istanza di sinistra, ma non meno grave (anzi più grave) è la difesa del 41bis da parte di De Magistris (https://www.la7.it/laria-che-tira/video/caso-cospito-de-magistris-oggi-non-si-puo-eliminare-il-41-bis-01-02-2023-470408). Se i sedicenti “compagni” che hanno dato vita ad Unione Popolare, come Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, le aree più politicamente arretrate dell’autonomia, non chiedono conto al loro leader, rinnegandolo, di tale posizionamento, dimostrano solo una volta di più che a guidarli è il più becero opportunismo.
Scenario politico
Rivendichiamo il fatto di non esserci uniti al coro di chi annunciava l’arrivo del fascismo con la vittoria elettorale delle destre e l’insediamento del governo Meloni. L’esperienza storica dovrebbe insegnare che esistono due importanti fattori che caratterizzano l’ascesa di un movimento fascista, che solitamente precede la conquista totale delle istituzioni. Sia in Italia che in Germania, agli inizi degli anni Venti del secolo scorso, si poneva la questione della crisi di potere ai vertici della borghesia a seguito degli scioperi e delle ondate di manifestazioni rivoluzionarie che imperversavano e riecheggiavano dalla Rivoluzione Russa; è il caso delle esperienze storiche del biennio rosso in Italia e delle repubbliche dei consigli in Germania dove il principale leitmotiv che veniva agitato dai rivoluzionari nelle fila del proletariato era “fare come in Russia”, ovvero seguire l’esempio dei Soviet e imporre la necessità di costruzione di un mondo nuovo su basi socialiste. Tuttavia la scelta delle alte sfere del capitalismo di affidarsi alle squadracce fasciste non fu dettata soltanto dall’esigenza di arginare un proletariato alla riscossa ma anche dal dover risolvere una crisi profonda all’interno dei suoi stessi apparati istituzionali e risollevare le sorti di interi settori produttivi (specialmente l’industria pesante) duramente colpiti dalle conseguenze del primo conflitto mondiale. Oggi, a parte singoli valorosi episodi, come quello di Gkn, non si assiste ancora ad un’ ascesa impetuosa della lotta di classe fra il proletariato e il capitalismo italiano, che mini le stesse basi del sistema. Non esistendo questo scenario di guerra civile perché la borghesia dovrebbe usare la clava fascista sul proletariato quando riesce benissimo a restare a galla con la classica carta della democrazia borghese? E infatti sia la Lega che Fratelli d’Italia sono partiti politici ben integrati, e non da oggi, all’interno delle istituzioni borghesi ad ogni livello. Ciò però non significa che si possa ignorare del tutto la natura reazionaria dell’attuale governo italiano né che al suo interno non ci siano diversi elementi fascisti, tra i dirigenti e alla base di tali organizzazioni, i quali potrebbero ritagliarsi sempre più spazio, anche entrando in rotta di collisione con gli attuali vertici. Ancor di più, ciò non significa che, proprio a causa di un sistema economico debole e in crisi, l’elemento identitario di una destra finalmente al governo non possa trovare elemento di sfogo e terreno fertile in una deriva securitaria e nella repressione del dissenso. Gli episodi in tal senso si succedono, infatti, settimana per settimana e quanto più si moltiplicano le iniziative di solidarietà con Cospito e si intensifica la battaglia contro il sistema di tortura del 41bis e dell’ergastolo ostativo tanto più vengono blindate intere città e messe in atto “misure cautelari preventive”.
Crisi di sistema, lotta di classe e risposta repressiva
Così come l’attuale mancanza di uno scenario da guerra civile non significa che non ci sia oggi un governo apertamente reazionario, l’attuale debolezza del movimento operaio (per responsabilità della sua direzione) non significa che la gigantesca crisi di regime della società borghese non possa produrre un’impennata della lotta di classe, sicuramente convulsa, ma estremamente plausibile, anche in tempi relativamente brevi.
Ora, l’esacerbarsi della lotta del proletariato comporta l’esacerbarsi dei metodi usati dal capitale. Le future ondate di scioperi e mobilitazioni provocheranno immancabilmente energiche misure di risposta da parte della borghesia. E come scriveva Trotsky ormai quasi un secolo fa: “In nessun paese la borghesia si accontenta della polizia e dell’esercito ufficiale. Negli Stati Uniti, anche nei periodi di “calma”, si mantengono distaccamenti di crumiri militarizzati e bande armate private nelle fabbriche. […] La borghesia si rende chiaramente conto che nella fase attuale la lotta di classe tende immancabilmente a trasformarsi in guerra civile” (L. Trotsky, Programma di transizione, 1938).
E non esiste arma repressiva più forte della carcerazione. Dal punto di vista politico, la posta in gioco quindi oltrepassa l’abrogazione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo, che sono solo le punte di lancia dell’attuale risposta penale al conflitto sociale. Le lotte contro il carcere, come critica delle politiche securitarie, e la lotta sociale e politica allo sfruttamento padronale, come critica radicale alle gerarchie di classe, procedono insieme. Alla teoria secondo cui la prigione combatte e riduce il crimine Michel Foucault opponeva che la prigione, piuttosto, ha la funzione di “produrre la delinquenza, vale a dire un tipo specifico, politicamente ed economicamente meno pericoloso di illegalismo; produrre i delinquenti, una categoria umana al contempo marginalizzata e strettamente controllata […]; produrre il delinquente stesso come un soggetto patologico” (Foucault, Surveiller et punir, 1975).
Su scala individuale le misure penali, in periodi di bassa congiuntura economica, funzionerebbero come l’equivalente di quei meccanismi di controllo sociale che, invece, in periodi di alta congiuntura economica, sarebbero incentrate sul lavoro. Su scala sociale le misure penali permetterebbero allo Stato borghese di gestire la popolazione di quello che Marx chiamava l’“esercito industriale di riserva”.
Lo stesso Marx rileva a più riprese come crimine e capitale siano indissolubilmente intrecciati, essendo la delinquenza una componente essenziale del capitalismo. Più un paese capitalistico è sviluppato, più la criminalità aumenta e le galere si riempiono. Infatti, negli Stati Uniti, la criminalità a giudicare da quanto sono piene le galere, è la più alta del mondo. Perché la criminalità è il frutto della miseria, dello sfruttamento, dell’oppressione, cioè del sistema capitalista. I padroni si servono inoltre della criminalità come capro espiatorio per la rabbia delle classi popolari, utilizzandola come distrattore e abituando le masse a pensare che le uniche rapine e gli unici delitti sono quelli compiuti dai disperati e non quelli che commettono loro ogni giorno con lo sfruttamento capitalista.
Oltre le nefandezze della borghesia: la repressione dei comunisti per mano dello stalinismo
I rivoluzionari, e in particolare i comunisti rivoluzionari, hanno storicamente sopportato il peso di una repressione spesso sfociata nel sangue. Ma se lo Stato dei padroni, lo Stato borghese, ha mostrato tutta la sua ferocia in tale opera, i sinceri comunisti non possono tacere il dramma che ha rappresentato il regime staliniano, anche dal punto di vista della persecuzione di una intera generazione di rivoluzionari. Occorrerebbero centinaia di pagine per trattare degnamente tale argomento ma vista la specifica vicenda da cui siamo partiti accenneremo almeno ad un caso che lo ricorda molto da vicino, quello della lotta dei detenuti trotskisti nei gulag del termidoro russo.
Tutti i pezzi dello Stato borghese sono terrorizzati dallo sciopero della fame di Cospito, terrorizzati da un’estrema azione di protesta che, qualunque sarà il suo esito, è già riuscita ad accendere i riflettori sulla brutalità di sistema. Allo stesso modo era terrorizzato il regime staliniano dallo sciopero della fame di massa che gli oppositori trotskisti incarcerati nei gulag di Kolyma e soprattutto Vorkuta – nel circolo polare artico, con temperature di 50 gradi sotto lo zero – condussero per centotrentadue giorni, al prezzo di parecchi morti, per rivendicare condizioni di prigionia “migliori”.
Perché Stalin era terrorizzato? Per lo stesso motivo per cui lo sono oggi le istituzioni italiane: queste ultime perché per uno Stato che si proclama “democratico” è impossibile da gestire agli occhi delle masse la probabile morte di un cittadino ad esso affidato. Analogamente, Stalin era terrorizzato perché uno Stato che si proclamava (a torto) “comunista” non poteva permettersi di mostrare al proletariato sovietico che egli lasciava morire tra le proprie mani migliaia di (veri) comunisti. Ecco perché il suo regime cercava di mettere la sordina a quella azione di protesta così radicale: dapprima cercando di isolare gli scioperanti dagli altri detenuti; quindi prendendo diversi provvedimenti per impedire che il movimento si estendesse anche al di là delle frontiere, tra cui il divieto della corrispondenza. Infine, ricorrendo a misure estreme come quelle che racconta Pierre Broué nel suo testo “Comunisti contro Stalin”: «Uno dei momenti più penosi si presenta quando cercano di nutrire a forza gli scioperanti facendogli ingoiare un liquido per mezzo di tubi. Questi lottano per impedire l’inserimento del tubo o per rigettare il liquido che gli viene introdotto in bocca. Allora si ricorre sistematicamente alla forza. I prigionieri vengono tenuti fermi da diverse guardie, in certi casi legati. In ogni caso, è un combattimento fisico che gli scioperanti hanno sempre meno forza per sostenere».
Nel caso di Cospito, lo Stato “democratico” italiano non ha – almeno per ora – mostrato l’intenzione di procedere all’alimentazione forzata, a differenza dello Stato “comunista” di Stalin. Ma in quanto a mettere la sordina alla vicenda di Cospito esso non ha nulla da invidiare a quello staliniano.
Il regime carcerario duro degli oppositori trotskisti detenuti nei gulag staliniani si concluse, come detto, dopo centotrentadue giorni. La vendetta di Stalin per avere essi osato sfidarlo fu crudelmente raffinata: dapprima, per far cessare lo sciopero, proclamò che le rivendicazioni sarebbero state tutte accolte; dopo qualche giorno diede l’ordine di uccidere tutti gli scioperanti, che a gruppi di 50-100 alla volta vennero portati nella tundra e assassinati in massa a colpi di mitragliatrice.
Nel caso di Cospito la vendetta è altrettanto crudele, benché non così raffinata considerando la rozzezza del personale politico dello Stato “democratico”: Cospito è stato trasferito in altro carcere provvisto di struttura sanitaria affinché venga “curato” (e non si capisce quale “cura” possa essere somministrata a chi è in sciopero della fame e deciso a condurlo fino alle estreme conseguenze), ma la misura del “41 bis” resta intatta, strenuamente difesa da governo e opposizione parlamentare, dalla grande stampa e dagli opinionisti televisivi, dalla sinistra manettara e da quella umanitaria.
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La redazione